Bello a sapersi – Lo scoppio del Torrione della Mirandola – Maurizio Bonzagni

Bello a sapersi – Lo scoppio del Torrione della Mirandola – Maurizio Bonzagni

13 Gennaio 2024 0
Maurizio Bonzagni
Maurizio Bonzagni

Chimico, nato a Mirandola nel 1958, ha lavorato a lungo come responsabile vendite presso una multinazionale di materie plastiche ma è soprattutto un appassionato di storia locale di cui è da anni un attento lettore. Dopo aver arricchito la propria biblioteca di numerosi testi su Mirandola e la Bassa Modenese e raggiunta recentemente la pensione ha iniziato la collaborazione con Al Barnardon per condividere e contribuire a divulgare la splendida storia delle nostre terre, spesso sconosciuta o ignorata da molti dei suoi stessi abitanti.

Disegno di Loreno Confortini

Lo scoppio del Torrione della Mirandola

L’esplosione delle polveriera custodita nel Torrione della Mirandola e colpita da un fulmine durante un temporale nella notte tra l’11 e il 12 giugno 1714  fin da subito ha suscitato perplessità tra i mirandolesi, alimentando il sospetto che l’accaduto in realtà fosse stato commissionato dal nuovo padrone della città, il duca di Modena Rinaldo d’Este, allo scopo di cancellare ogni memoria degli antichi Signori.

Diverse sono le informazioni di quei giorni arrivate fino a noi.

Nel 1708 l’imperatore Carlo VI d’Asburgo condanna per fellonia Francesco Maria Pico e ne confisca il Feudo di Mirandola. Durante la Guerra di Successione Spagnola tra la Francia del Re Sole e l’Impero Germanico Mirandola era infatti in mano ai tedeschi ed assediata dalle truppe francesi, il giovane ultimo duca mirandolese, di soli 15 anni, raggiunse Concordia e si mise sotto la protezione francese. Mirandola fu presa nel 1705 e, nominalmente, il governo del Pico ripristinato. Poi la successiva sconfitta francese di Torino nel 1707  costrinse Luigi XIV a firmare una pace per la  campagna d’Italia, abbandonando Mirandola al suo destino.

Il ducato venne quindi confiscato dalla Camera Imperiale, messo in vendita ed acquistato da Rinaldo d’Este,  che ne entra così ufficialmente in possesso dal 16 aprile 1711.

L’amministratore imperiale è il conte Giovan Battista Castelbarco, governatore sia di Mirandola che di Mantova, confiscata allo stesso modo ai Gonzaga per uguale reato di fellonia.

Nel 1710 viene sostituito al governo di Mirandola da un nuovo amministratore imperiale, il conte Achille Tacoli, ruolo che verrà a lui confermato anche dallo stesso duca di Modena dopo l’acquisto dello Stato.

Militari asburgici presidiano la fortezza, militarmente strategica e sede di una polveriera gestita dal capitano Giacomo Lopez Agazzi che per questo incarico riporta direttamente al comando d’Armata di Milano. Il presidio tedesco rimarrà fino al 1733 a Mirandola.

Il conte Tacoli carteggiò costantemente con il duca di Modena, chiedendo consigli e ricevendo ordini su diversi argomenti dell’amministrazione della città fin dalla fine del 1710, quando ancora era governatore imperiale ma ben attento al futuro Signore. Carteggio tutt’ora conservato presso l’Archivio di Stato di Modena, dove sono conservate anche le relazioni che lo stesso duca riceveva da un secondo corrispondente da Mirandola, all’insaputa del primo, lo scudiere ducale (guardarobiere) Giuseppe Maffei.

Siamo quindi in grado di conoscere molti dettagli degli avvenimenti che precedettero lo scoppio.

Particolarmente interessante è l’attenzione del duca Rinaldo all’archivio di Stato della Casata Pico, con centinaia di documenti, corrispondenze, trattati, investiture, testamenti, bolle, diplomi imperiali, papali, francesi e spagnoli, “un camerone ben grande, guernito d’armarii, e con molte filze e scritture che ci vogliono anni a chi volesse tutto rivedere…” Una ricca e antica documentazione quindi che oltre ad essere utile all’amministrazione del nuovo ducato avrebbe ulteriormente arricchito la già prestigiosa Biblioteca Estense diretta dal grande storico Ludovico Antonio Muratori fin dall’anno 1700, l’uomo che ha posto le basi della storicità scientifica in Italia.

Il Torrione della Mirandola nella ricostruzione di Giacinto Paltrinieri

Purtroppo l’archivio dei Pico era posto all’interno del Torrione, dove era appunto conservata anche la polveriera il cui accesso era controllato dal capitano Agazzi, in precedenza un fedele dipendente dei Pico e quindi diffidente verso l’Este.

Il Torrione era una imponente struttura con una base quadrata di 15 metri per lato, muri di 4 metri di spessore, per un’altezza di circa 47 metri. All’interno erano ricavate sei stanze su diversi piani sovrapposti con in cima un sottotetto con due aperture per cannoni da ogni lato. Vi si accedeva dallo stabile a fianco, la Paggeria,  tramite una passerella all’altezza del terzo piano, entrando nella stanza in cui era stipata la polvere da sparo. L’archivio era nella stanza al piano superiore e quindi per accedervi occorreva attraversare la polveriera. Le visite all’archivio erano sotto stretta sorveglianza del capitano Agazzi e da lui limitate, in continuo conflitto per questo con il Tacoli.

La presenza della polveriera nel Torrione oltre ad impedire il libero accesso all’archivio era anche ritenuto dal governatore imperiale, il Tacoli, un pericolo per lo stesso castello e dopo sue sollecitazioni al comando di Milano l’11 gennaio 1711 gli giunge l’ordine di rimuovere le polveri dal Torrione per una maggiore messa in sicurezza. Nacquero però divergenze di interpretazione dell’ordine per la caparbia ostinazione del capitano Agazzi che pretendeva un ordine diretto a lui dal Generale d’Armata oltre a scartare sistematicamente tutti i luoghi alternativi proposti dal Tacoli, non ritenendoli idonei.

Una nuova sollecitazione appoggiata dal duca d’Este porta infine ad una nuova lettera del generale Visconti direttamente all’Agazzi, il 3 febbraio, che però, con stupore del Tacoli, proibisce la rimozione delle polveri appoggiando le scelte del capitano. Dopo nuove discussioni con l’Agazzi e altri scambi di corrispondenza con Rinaldo d’Este, il conte Tacoli ottiene che le polveri vengano almeno spostate nelle camere superiori all’archivio, lasciando così libero accesso a quest’ultimo.

Il 19 febbraio inizia lo spostamento che termina il 6 marzo 1711. 300 barili di polvere nera, micce, zolfo, salnitro e alcune migliaia di granate già cariche vengono messe nelle due stanze sopra l’archivio. Oltre a tre cassoni di polvere nera già precedentemente presenti nel sottotetto.

Il conte è così pienamente padrone dell’archivio e, a partire dal 16 aprile dello stesso anno, senza nemmeno dover più rendere conto agli imperiali, non essendo più al loro servizio. Ricerca particolari diplomi su ordine del duca d’Este e alcuni particolarmente interessanti li fa pervenire a Modena, già anche in precedenza ne aveva furtivamente sottratti e recapitati al duca.

I resti del Castello dopo l'esplosione

Successivamente l’attività del governatore viene completamente distolta prima da una grave epidemia bovina scoppiata all’inizio del 1712, che si risolve solo nel maggio del 1714, isolando commercialmente Mirandola e creando non pochi disordini, poi il 29 ottobre 1713 il Secchia rompe l’argine a Santa Caterina di Concordia allagando un’area molto estesa e assorbendo tutta l’attenzione del governatore estense.

Terminate le emergenze il 23 marzo 1714 il Tacoli riferisce a Rinaldo d’Este che l’Agazzi ha cambiato la serratura del Torrione impedendogli l’accesso all’archivio. Il duca ordina allora al suo governatore di trovare un’altra sede idonea all’archivio e di farvelo trasferire al più presto “parlando al bombista medesimo in modo da renderlo capace de motivi giusti che si anno per fare questo trasporto,… le faccia levar tutte … ma lo faccia con carità, e colle cautele dovute perché tutto segui fedelmente e resti poi custodito  nelle forme che sono necessarie”, si preoccupa cioè di mantenere l’ordine originale delle carte per meglio comprenderle.

Il 17 maggio dello stesso anno, a onore di cronaca, muore di malattia il capitano Agazzi.

L’archivio purtroppo non è ancora stato spostato che si arriva alla tragica notte dell’11 giugno in cui il Torrione esplode trascinando con sé gran parte del castello.

Abbiamo sette lettere e relazioni che descrivono l’accaduto, molte di testimoni oculari come quella dell’ingegner Massimo Scarabelli Pedoca e quella di un anonimo cittadino che scrive una lettera molto dettagliata ad un suo amico di Bologna, entrambe pubblicate dallo storico mirandolese Felice Ceretti a fine ‘800 sul periodico annuale mirandolese La Fenice.

Nubi scure coprirono la città per tutto il giorno e un violento temporale scoppiò al calare della notte, un primo fulmine cadde su un albero del baluardo del Cantarana, prossimo al castello, poi un secondo all’una e tre quarti colpì il Torrione. “Tale e intenso l’odore di zolfo e polvere e tale il fumo … le smanie ed i lamenti delle persone, che in quella oscurità la Mirandola pareva un purgatorio” poi la pioggia dissipò il fumo e scoprì l’orrore.

11 appartamenti del castello vennero ridotti in macerie, abitati in parte dal conte Tacoli e in parte dal colonnello Antonio Maria Avvocati, da pochi mesi trasferito con la propria famiglia al comando della milizia estense.

I primi soccorsi vennero ostacolati dalle granate che continuarono ed esplodere nelle ore successive impaurendo i soccorritori. Dalle macerie sotto una pioggia torrenziale vennero estratti ancora vivi, dopo quattro ore di lavoro, il colonnello Avvocati, un suo servitore, l’ortolano del castello e la figlia dello staffiere. Non fu così per la moglie francese del colonnello, Marianna, e i suoi due figli, Luigi e Caterina, la domestica, Domenica di Scandiano e Il vetturino Francesco Burlenghi, giunto la stessa sera con la carrozza da Reggio insieme ad una seconda giovane domestica, Cecilia Cavanulli Steffanatti, ritrovata tra le macerie solo sei mesi dopo. Anche Domenico Maschi e Giuseppe Braghiroli che si trovavano nelle vicinanze perirono. Sotto le macerie della propria casa rimasero i tre figli dell’ortolano, Giuseppe, Francesco e Maria Catterina Barbieri. Cinque infine furono i soldati tedeschi di guardia sepolti nel disastro. Sedici morti.

Il conte Tacoli che si era già trasferito con tutta la sua famiglia nella dimora estiva del Casino della Fossa, anticipando di un mese le sue abitudini, fece radunare soldati e contadini e al mattino furono più di 200 a rovistare tra le macerie per trovare superstiti e a raccogliere le scritture dell’archivio.

Lo storico mirandolese contemporaneo agli accadimenti Ignazio Papotti, assente quel giorno, ci riporta il racconto di testimoni oculari rendendoci noto che “le quattro facciate del torrione fecero a gara in dilatare la loro rabbia conforme la loro prospettivanon abbruciarono però le scritture ma solo dissipandole”, bagnate dall’acqua furono cioè solo disperse dall’esplosione, e ancora: “i pizzicagnoli dei mercati ambulanti vendettero per due mesi le sardelle accartocciate con le pergamene dei Pico”.

Parte del materiale nella sua frammentazione è poi riemerso grazie a collezionisti e cultori come Giacinto Paltrinieri, il conte Ottavio Greco, Luigi Rangoni, Francesco Molinari o il marchese Giuseppe Cantori che raccolsero preziose pergamene “avanzi di memorie che trovansi presso private famiglie in pericolo di andare disperse”.

Dopo lo scoppio lo stesso duca Rinaldo d’Este si preoccuperà anche dell’archivio, approvando il servizio di guardia sulle macerie ordinato immediatamente dal Tacoli fintanto che non si fosse concluso di scavare e dissotterrare “robbe e scritture”. Un lavoro di rimozione delle macerie che durerà parecchi mesi.

Alla luce di tutto questo diviene quindi difficile credere che l’esplosione fosse stata ordinata dall’Este proprio allo scopo di distruggere eventuali investiture imperiali che avrebbero potuto essere impugnate dagli eredi dei Pico, tanto più che la memoria delle investiture non sarebbe scomparsa con l’archivio, inoltre la loro distruzione avrebbe potuto essere eseguita con mezzi meno violenti, considerando che l’archivio era ormai in totale potere del suo fidato governatore.

Rinaldo d’Este non è certo stato un benefattore per le nostre terre. La sua bramosia di acquistare Mirandola ad un prezzo molto impegnativo per le sue finanze è stato solo per impossessarsi di nuove terre ed aumentare il proprio potere. Negli anni successivi la Casa d’Este ha molto sfruttato città e territorio per arricchire il proprio ducato ma penso che si possa affermare che l’episodio che più di tutti ci ha privato di tanta della nostra storia non gli si debba attribuire.

Concludo quindi con ciò che scrisse Pellegrino Papotti a inizio ‘800 : “Non a fatto umano, né inavveduto, né politico fine comandato, ma unicamente a fatale avvenuta di un fulmine che colse in esso”… è da imputare il fatto.

Nel luglio del 1716, nonostante le proteste del conte Tacoli e del duca Rinaldo, il comandante Botta Adorno del presidio asburgico con 29 carri trasporterà tutto il mobilio superstite a Mantova per arricchire il Palazzo Ducale sede del governatore del presidio, il principe d’Armestat. Palazzo che i Gonzaga avevano completamente spogliato prima di abbandonarlo.

La splendida residenza dei Pico, una delle più belle regge del rinascimento, fu “ridotta ad orrida spelonca e non vi rimase nemmeno un chiodo”.

  1. SPAGGIARI, L’archivio dei Pico della Mirandola(ricerche per una ricostruzione storica), in “Mirandola e le terre del basso corso del Secchia”, Atti del convegno, Aedes Muratoriana, 1984
  2. GAVIOLI, La Reggia Ducale dei Pico nella Città di Mirandola, in «La Sgambada. 11° edizione della Maratona Popolare», 1982.
  3. PAPOTTI, Annali Tomo II in «Memorie Storiche della Città e dell’antico ducato della MIrandola, Volume IV»
  4. CERETTI, Relazione del Conte Massimo Scarabelli Pedoca in «La Fenice – Strenna Mirandolese per l’anno 1887»
  5. CERETTI, Lettera di anonimo al suo amico di Bologna in «La Fenice – Strenna Mirandolese per l’anno 1890»
  6. CERETTI, Relazione di Ignazio Papotti in «La Fenice – Strenna Mirandolese per l’anno 1892»
  7. CALZOLARI, L. BONFATTI, Il castello di Mirandoladagli inizi del Settecento alla fine dell’Ottocento: “descrizioni”, documentazione cartografica e trasformazioni planimetriche, in «Il Castello dei Pico. Contributi allo studio delle trasformazioni del Castello di Mirandola dal XIV al XIX secolo», Gruppo Studi Bassa Modenese, 2005.
  8. ANDREOLLI, Mirandola e i Pico di fronte a Modena e agli Estensi, in «Lo Stato di Modena: una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa», Atti del convegno, 2001.

Liberamente tratto dal libro di Maurizio Bonzagni:

“Mirandola e la Bassa Modenese – Storia di una capitale dall’Alto Medioevo a Città di Provincia”

Edizioni: Al Barnardon

Il libro è in vendita nelle edicole e librerie di Mirandola.

€ 15.00

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