Un pilota ricorda – La scuola – II Capitolo
La scuola – II Capitolo
Parcheggio la vespa e mi avvio verso un gazebo forse un pò rozzo ma certamente funzionale. In realtà non è altro che un lungo tavolaccio affiancato per tutta la sua lunghezza da due panche. La copertura è data da stuoie di vimini ricoperte da un leggero strato di viticci. Il tutto ha un aspetto molto rustico. Di fianco è sistemato un piccolo prefabbricato in lamiera che funge da ufficio e aula. Oltre vi sono vi sono sei grossi hangars in lamiera ondulata e di fronte ad essi una pista di volo lunga 380 metri e larga una ventina, ma la testata pista è attraversata trasversalmente da una linea elettrica che toglie almeno trenta metri di lunghezza, ma per un ultraleggero (termine di legge che raggruppa tutti i mezzi usati per il volo da diporto o sportivo) ce n’è d’avanzo.
Mi viene incontro una bella bionda che si presenta come la moglie dell’istruttore, Lucio, e mi chiede cosa desidero.
Mi presento ed affermo di essere un futuro pilota. Purtroppo Lucio è in un campovolo vicino a Bologna per effettuare alcune sanatorie, ma domani sarà presente. Ok, tornerò domani.
Intanto mi fermo ad osservare decolli ed atterraggi vari. L’attività su questo campo è molto intensa ed organizzata, niente a che vedere con la confusione abituale di Quarantoli.
Lunedì torno e trovo Lucio. Ci presentiamo ed inizia a spiegarmi la faccenda.
Innanzitutto occorre un certificato medico dalla medicina sportiva. Tolgo dalla tasca il foglio e glielo consegno, un mezzo sorriso gli appare all’angolo della bocca. Poi naturalmente sarebbe gradito un piccolo acconto: “Sai, non navighiamo nell’oro e ci sono subito spese per l’iscrizione.” Dal portafogli estraggo un mazzetto di banconote e chiedo se sono sufficienti, il sorriso si allarga a tutta la bocca. Penso tra me di essere partito col piede giusto. Quindi passiamo alle cose serie.
Gli spiego che soffro il mal d’auto, ma che ho già effettuato un volo come passeggero ed è andato tutto bene, in ogni caso se dovessi avere dei problemi vorrei insistere perchè ho già comprato il deltaplano, che è parcheggiato a Quarantoli, e non ho intenzione di cedere.
“Questa sera faremo il volo d’ambientamento – mi dice – e vedremo cosa succede. A proposito, le lezioni le effettueremo sempre di sera perchè l’aria è più calma e non vi sono turbolenze che potrebbero rivelarsi fastidiose.”
Mi trova d’accordo. Mi metto comodo ad assistere all’attività di volo che, nonostante il giorno feriale, è comunque vivace ed attendo che arrivi il momento. Decolli, atterraggi o semplice manutenzione dei mezzi parcheggiati davanti agli hangars e le ore passano in un baleno. Il delta della scuola atterra e ne scendono Lucio ed un allievo. L’istruttore mi fa un cenno e mi dice di sistemarmi sul sedile posteriore. Metto il casco e salgo.
Il delta della scuola è un Motodelta costruito da un’azienda giovane ma già rinomata. Il carrello è di tipo alto e abbastanza comodo, mentre l’ala è un’Atlas da 21 metri quadrati, enorme, lenta quanto la mia e molto sensibile alle turbolenze.
Non sono neanche particolarmente emozionato; ho già volato come passeggero e la prendo quasi come fosse una routine.
Avviamento del motore e conseguenti brividi lungo la schiena, rullaggio, corsa di decollo movimentata per le irregolarità del terreno. Stacco da terra, salita, livellamento del volo, leggerissima virata a sinistra appena accennata. Oddio!!! Mi ritrovo con la bocca piena di vomito. Batto una mano sul casco di Lucio e gli faccio cenno di scendere.
Tocchiamo terra, scendo il più velocemente possibile, mi tolgo il casco e mi inginocchio sulla riva del fosso che corre parallelo alla pista e rimetto anche lo stomaco. Per fortuna in volo sono riuscito a trattenermi. Non mi sembrava proprio il caso di vomitare addosso a Lucio, sarebbe stato quantomeno imbarazzante. Qualcuno all’ombra del gazebo ridacchia, ma non me la prendo. Riesco perfettamente a vedere il lato comico della situazione e se non mi metto a ridere anch’io è solo perchè non mi sento niente bene. Mi siedo sulla panca con una bibita in lattina ghiacciata sulla fronte. Lucio mi chiede come va. Dopo lo scontato “stavo meglio prima”, lo rassicuro che mi passerà presto.
“Domani sera ti siederai davanti.” In quel momento ho capito che non avrei dovuto preoccuparmi di niente; nemmeno Lucio avrebbe mollato. Ora ero sicuro che ce l’avrei fatta. L’indomani mi presento nel primo pomeriggio (al lavoro faccio i turni, quindi due settimane su tre ho il pomeriggio libero). E’ già divenuta un’abitudine, nei dodici anni a venire che trascorrerò praticamente nell’attesa di poter volare, arriverò sul campo sempre in netto anticipo rispetto a quello che diverrà il mio orario tipico di volo, cioè la sera o il tardo pomeriggio.
Comincio a conoscere i piloti del campo ed a parlarci. Visito gli hangars ammirandone i mezzi ricoverati e mi rendo conto che non c’è posto per altri velivoli. A Quarantoli non hanno un posto libero per poter ospitare indefinitamente il mio delta e lo stanno tenendo provvisoriamente solo per farmi un favore. Se anche qui a S. Felice non c’è posto dove mai potrò hangarare il mio delta? Ci penserò più avanti, ora ho altro a cui pensare.
Arriva anche Lucio e mi chiede subito come sto. Adesso bene, ma lo constateremo più avanti. Più tardi arriva il momento tanto atteso, è il mio turno. Stavolta salgo sul sedile anteriore. L’idea sarebbe che essendo la mia attenzione rivolta ad uno scopo ben preciso, cioè imparare i primi rudimenti del volo, il mio stomaco così distratto non dovrebbe dare dei problemi. Ma si sa, la teoria è una cosa ma la pratica …
Motore acceso, appoggio le mani sulla barra orizzontale del trapezio (l’equivalente della cloche o del volantino dell’aereo) per sentirne i movimenti e capirne il funzionamento. Decolliamo. Il trapezio si sposta in avanti ed il delta prende quota. Livelliamo ed i comandi tornano in posizione neutra. Spostiamo il trapezio leggermente verso destra e viriamo dolcemente a sinistra. Ripetiamo la manovra dalla parte opposta e viriamo a … Oddio !!! Di nuovo !!!! Tolgo le mani dalla barra e faccio segno verso terra. In un battibaleno siamo giù ed ancora mi ritrovo inginocchiato sul bordo del fossato. Stessa trafila di ieri. Lattina fresca sulla fronte e parole d’incoraggiamento. “Vedrai che domani sarà diverso. Oggi hai tenuto botta più a lungo, ce la farai.”
Mercoledì. Rieccomi a S. Felice, testardo come un mulo. Se non avessi già comprato il delta non so se avrei la forza di trovarmi ancora qui. Forse mi sottovaluto, ma va bene così.
Decollo, virata a sinistra e poi a destra, una leggera picchiata seguita da una veloce risalita, di nuovo virate. Dopo una decina di minuti ci immettiamo in circuito ed atterriamo, tutto bene, o quasi. In realtà ho una leggera nausea e la testa un po’ pesante, ma visto i trascorsi non posso certo lamentarmi. Ancora non lo so, ma sarà l’ultima volta che non mi sento completamente a mio agio in volo. Nei prossimi dodici anni volerò con vento a raffiche, forti turbolenze, termiche da farti saltare sul sedile, volerò come passeggero, in elicottero ed in mongolfiera, ma mai più sentirò il minimo disagio.
Aprile, maggio ed i primi di giugno passano volando, letteralmente.
Sette ore e quaranta minuti mi sono necessari per arrivare al momento tanto sognato. Stalli senza motore e di potenza, emergenze simulate, virate strettissime di quasi novanta gradi, atterraggi corti e di precisione fanno ora parte delle mie nozioni pratiche di volo.
La teoria non è stata un problema, venticinque anni di letture sull’argomento valgono pur qualcosa.
Arriviamo così al nove giugno. Il volo con l’istruttore dura solo cinque minuti, sono sorpreso. Due decolli, un paio di normalissime virate e due atterraggi. Scendo dal delta e di nuovo sono sorpreso dalla mancanza della consueta analisi del volo da parte di Lucio. Nessun commento, anzi non mi rivolge neppure la parola, sembra distratto, come se aspettasse qualcosa. Il ronzio in avvicinamento da nord di un deltaplano mi distoglie dalle mie perplessità.
Un piccolo delta si immette in circuito e si porta all’atterraggio. Wow !!! Un tuffo al cuore; un attimo prima che tocchi terra lo riconosco, è il mio. Tutto mi è ora chiaro. Lucio intende farmi volare da solo ed ha mandato a prendere da un altro pilota il mio deltaplano a Quarantoli senza avvisarmi.
Il delta parcheggia in testata pista pronto per un nuovo decollo. Lucio si avvicina tenendo in mano il suo casco dotato di auricolare per la radio. “E’ arrivato il tuo momento. Indosserai questo casco per sentire le mie istruzioni. Non preoccuparti di rispondere e resta concentrato.” L’emozione mi scombussola un po’. Un respiro profondo e indosso il casco che mi sta un po’ largo. Mi sistemo sul sedile e allaccio le cinture. Lucio si inginocchia accanto a me. “Ora decolli, fai quota, poi ti dirò io cosa fare. Ti accendo il motore e quando ti senti pronto parti.”
Si alza, afferra la maniglia e dà uno strattone. Frastuono, vibrazioni, un brivido lungo la schiena, adrenalina in circolo. Quasi non riesco più a pensare. E invece sarebbe il momento giusto per ragionare freddamente. Dovrei tenere conto del fatto che il delta della scuola pesa a pieno carico circa 250 chili e la posizione del pilota è seduta, come su di una normale sedia, mentre il mio delta, col mio peso, non supera i 150 chili e la mia posizione è semisdraiata. Ora tutto ciò è molto lontano dai miei pensieri, ma fra qualche attimo questi diversi parametri mi daranno una bella scossa. Sono pronto.
Giù tutto l’acceleratore e via. Il cuore mi balza in gola e rimango senza respiro. Mi diranno poi che la corsa di decollo non ha superato i dieci metri e sono arrivato a cento metri di quota prima ancora di giungere all’altezza di metà pista. Grazie alla potenza del motore ed alla leggerezza del mezzo, il decollo è avvenuto con un angolo di salita molto elevato rispetto a quello a cui sono abituato e quando mi sono ritrovato con i piedi all’altezza della faccia ho realmente temuto di rovesciarmi. Non mi faccio prendere dal panico e tengo giù l’acceleratore fino al raggiungimento della quota di sicurezza.
“Perfetto, ora effettua una virata a sinistra di novanta gradi senza perdere quota.” La voce di Lucio è rassicurante ed ha un effetto calmante. I battiti del cuore riprendono il loro ritmo abituale e viro in tutta calma. “Ripeti la virata, ma ora a destra.” E’ tutto facilissimo, mi sembra di volare da una vita. “Benissimo, ora entra in circuito ed atterra.” E’ già tutto finito? Mi guardo intorno e mi accorgo che la sera incombe e che il sole è ormai tramontato. Naturalmente ci sarebbe luce sufficiente ancora per mezz’ora almeno, ma se Lucio ha deciso così … obbedisco! Atterro e non appena scendo dal velivolo un calcio in culo dell’istruttore equivale alla spinta dell’aquila all’aquilotto che deve lasciare il nido.
Si brinda col Brachetto, ovviamente offerto dal sottoscritto e si fa festa. Quando le acque si sono calmate, arriva il momento di pensare al delta. Di riportarlo a Quarantoli non se ne parla nemmeno e negli hangars di S. Felice non c’è posto. Che fare? Lucio dice che ha intenzione di costruirne altri due, ma non saranno pronti prima di un paio di settimane. Nel frattempo, il carrello che non prende molto spazio posso metterlo dentro, mentre l’ala dovrò distenderla a terra all’esterno, oppure chiuderla completamente per poterla collocare anch’essa all’interno. Dover chiudere e riaprire l’ala ogni volta che vorrò fare un volo non mi attira particolarmente, così opto per la prima soluzione. Stacco l’ala dal carrello, sgancio il trapezio e la distendo a terra dietro l’ultimo hangar mettendo dei pesi alle estremità per evitare che un’eventuale folata di vento la possa portare via. Mi piange il cuore, ma la pigrizia innata ha il sopravvento, e poi è solo per pochi giorni.
A casa, nella calma della mia camera, finalmente realizzo. Sono un pilota, il sogno di una vita che diventa improvvisamente realtà. Da domani potrò andare al campo di volo e volare ogni volta che ne avrò voglia. Non sto più nella pelle. Al diavolo i modellini e i libri e i documentari. Ora sono io il pilota e saranno gli altri a guardarmi volare e ad invidiarmi e a desiderare di essere al mio posto. Mi aspettano dodici anni che valgono una vita intera e li vivrò intensamente, assaporandoli giorno per giorno, ed alla fine non avrò rimpianti né ripensamenti di alcun genere. Rifarei tutto esattamente come è avvenuto, senza cambiare una virgola, momenti belli e no. Mi dichiaro ufficialmente soddisfatto!