Un pilota ricorda – Dalle origini agli inizi – I Capitolo

Un pilota ricorda – Dalle origini agli inizi – I Capitolo

24 Luglio 2018 0

Due anni fianco a fianco nella redazione de “Al Barnardon” mi hanno permesso di conoscere Vanni Chierici​ e di pubblicare i suoi seguitissimi articoli, talvolta ironici, su Mirandola e la dinastia dei Pico. E’ timidissimo ma ha un gran dono, scrive divinamente, semplice, chiaro, scorrevole e ironico, si legge tutto d’un fiato.
Questa è la sua esperienza come pilota di deltaplani, otto capitoli che Al Barnardon pubblicherà uno a settimana e li pubblicherà perchè, chi scrive, è uno di noi, della nostra Bassa e ne sono orgoglioso.

DALLE ORIGINI AGLI INIZI – I capitolo

Volare: sostenersi e spostarsi liberamente nell’aria per mezzo delle ali, detto propriamente degli uccelli e di ogni animale alato.

Questa è la definizione che il dizionario dà della parola “volare”. Fredda, impersonale e pure sbagliata. Lo struzzo ed i pinguini sono alati, ne avete mai visto uno volare? E io come definirei il volo? Bella domanda.

La poesia non è una delle mie doti, e poi già molte liriche e odi sono state vergate dalla penna di luminari della parola sull’argomento. Cosa mai potrei aggiungere di poetico o anche soltanto di originale? Posso solo tentare di spiegare che mentre preparavo e controllavo il deltaplano a motore la calma dei miei gesti era assoluta. Gli giravo intorno osservandolo freddamente ed attentamente e ne testavo le parti meccaniche, e non, per assicurarmi che tutto fosse in ordine. Vedevo solo una macchina che mi avrebbe permesso di andare in volo. Poi … ne avviavo il motore ed ecco che all’improvviso, al primo rombo assordante, avveniva la metamorfosi. Un brivido lungo la spina dorsale, il respiro accelerato ed il cuore a mille. Esso prendeva vita e non era più un freddo insieme di parti meccaniche, ma il mio fidato Pegaso che mi avrebbe permesso di realizzare il sogno di un bambino. E la paura, minima, quanto basta per non commettere idiozie, che sempre deve albergare nel cuore di un buon pilota. Ne ho visti alcuni molto più bravi di me avere incidenti devastanti perchè non conoscevano la paura, la paura di sbagliare. E quando iniziava la corsa di decollo, prima ancora di lasciare la madreterra, ero già in un altro mondo. Un mondo tutto mio, che apparteneva a me soltanto e che non potevo condividere con nessuno, né lo volevo. In volo poi ero veramente solo con me stesso. Niente più pensieri, problemi assillanti, divergenze con chicchessia. Non pensavo più al mondo materiale, di tutti i giorni. Fino al momento dell’atterraggio ero totalmente estraniato da tutto e da tutti e solo nel caso d’imprevisti tornavo bruscamente alla realtà. Quando per qualche anno usai la radio, la poesia del volo venne spezzettata da parole invasive e futili e la batteria bruciata fu un’ottima scusa per rendere di nuovo fluido il sogno alato.

Avrò avuto circa tredici anni quando un mio compagno di scuola mi regalò il modellino in plastica di un aereo costruito da lui; fu amore a prima vista. Mai prima di allora avevo pensato al volo. Comprare nuovi modelli da costruire e spostare le mie letture verso tutto ciò che riguardava il volo fu il passo immediatamente successivo. Adoravo le biografie dei piloti che avevano combattuto nelle due grandi guerre e mi immedesimavo in loro sognando di ripeterne le gesta. La mia camera era zeppa di modellini e posters che non sapevo più dove mettere. Devo però confessare che in realtà non mi interessai mai veramente alla possibilità di divenire un giorno un pilota. Pensavo che gli studi, interrotti dopo la terza media, non fossero sufficienti. Pensavo che il fisico mingherlino non mi avrebbe mai permesso di sopportare le fatiche del pilotaggio. Pensavo che la scarsezza di disponibilità economiche non mi avrebbe concesso di frequentare una scuola di volo prima e di affittare l’aereo per il volo poi. Pensavo che il mio mal d’auto, ovviamente mal di mare in barca e mal d’aria in aereo, mi avrebbe impedito qualsiasi accesso al volo. In un certo senso pensavo correttamente. Ma poi … Non ricordo con precisione l’anno, forse il 1.987 oppure il 1.986, magari anche prima. Non ho mai ricordato le date con molta precisione, nemmeno quelle che contano veramente nella vita.

Ero all’aperto, da qualche parte a fare qualcosa, quando un ronzio che sembrava una motosega attirò la mia attenzione. Veniva dal cielo e mi sembrava strano che un tosaerba potesse volare. L’occhio allenato dalle molte ricerche di aerei fra le nubi mi permise di individuare velocemente uno strano oggetto volante dalla forma inusitata. Era parecchio lontano, ma decisamente non era un aereo, eppure volava. Sparì presto dalla mia vista, ma lo strano profilo mi rimase impresso nella memoria ed ero certo che nonostante tutto avesse qualcosa di familiare.

Una volta tornato a casa, iniziai le ricerche sfogliando le riviste di aeronautica e dopo parecchio tempo trovai finalmente ciò che cercavo: l’ala di Rogallo. Trattasi di una interessante trovata da parte di un ingegnere italiano che lavorava per la NASA. Era in pratica un grosso aquilone di forma triangolare o a delta che avrebbe dovuto permettere alle astronavi americane di planare nell’atmosfera e di atterrare finalmente sulla terraferma. Dopo alcune prove l’idea venne scartata ed il progetto finì nel dimenticatoio. Qualcuno doveva aver rispolverato l’idea ed averla applicata al volo a vela ricavandone un nuovo tipo di aliante molto leggero , maneggevole ed economico. Qualcun’altro l’aveva poi ampliata aggiungendo una specie di piccolo triciclo in tubi ed un motorino azionante una piccola elica; era nato il deltaplano a motore e quando lo avvistai la prima volta, la sua diffusione in Italia ed in particolare nell’Emilia era già a buon punto. Per la verità, a parte la curiosità iniziale per la novità, non ci feci caso più di tanto, ma il tempo passava e questi aggeggi erano sempre più numerosi e frequentavano i cieli di Mirandola e dintorni sempre più insistentemente.

Mesi dopo il primo avvistamento un amico, fanatico come me del volo, mi parlò con noncuranza di un campo di volo sito a Quarantoli dove i deltaplani (così venni a conoscenza del loro nome) nei finesettimana decollavano ed atterravano in continuazione. Lo frequentava già da qualche tempo ed aveva fatto la conoscenza dei piloti. Naturalmente la domenica successiva eravamo entrambi sul luogo. Conobbi così Massimo, pilota e proprietario del terreno, e tutti i suoi compagni di volo. Non sono molto veloce a fare nuove amicizie ed acquisire la confidenza necessaria per parlare con loro e rivolgergli le domande che affollavano la mia mente non fu cosa semplice né veloce. A poco a poco, passo dopo passo, conquistai sufficiente familiarità per iniziare a raccogliere informazioni di prima mano. “No, non ci vuole molta energia per pilotare un deltaplano ed i comandi si possono manovrare anche con un dito.” “Imparare a volare è facilissimo. E’ sufficiente trovare un buon pilota volenteroso e ti insegnerà lui. Tutti noi abbiamo iniziato così, imparando gli uni dagli altri.” “Da pochi anni sono nate piccole aziende che costruiscono i carrelli e le ali, ma i nostri ce li siamo autocostruiti, è molto semplice e più economico. Abbiamo comprato solo le ali ed i motori.” “Possiamo atterrare e decollare da qualsiasi terreno pianeggiante ed abbiamo necessità di pochissimo spazio.” “Non è necessario studiare nessuna strumentazione. Voliamo a vista seguendo strade, ferrovie, fiumi, canali ed altri punti di riferimento.” “Non c’è nessuna legge che vieti o regoli questo tipo di volo. Nessun brevetto, nessuna scuola.” “No, il costo di un deltaplano autocostruito non è eccessivo ed è alla portata di tutti.” Queste e tante altre le risposte alle mie domande. Ma ad una in particolare sembrava non ci fosse un riscontro positivo. A Massimo, il pilota con cui ero riuscito ad entrare più in confidenza, chiedevo una volta sì e l’altra pure se potesse portarmi a fare un voletto. Una cosa breve, solo un paio di minuti, giusto il tempo per rendermi conto di persona di cosa effettivamente si trattasse. Naturalmente il vero intento era quello di testare il mio stomaco. Non avevo mai volato, se si escludono un paio di voli su grandi aerei di linea che non tenevo in considerazione per il loro peso e la loro stabilità ben diversi dai deltaplani, ed avevo il dubbio che il mal d’auto ed il mal d’aria non fossero la stessa cosa (l’inconscio può giocare degli strani scherzi). Speravo, ma con scarsa convinzione, che l’uno non centrasse con l’altro. Nonostante una vaga promessa iniziale, ogni volta rifiutava adducendo motivi ragionevolmente validi, ed io dovevo accontentarmi di vederli decollare ed atterrare immaginando soltanto le sensazioni che potevano provare.

Fine di gennaio 1.989, una domenica fredda, umida e leggermente nebbiosa; tipico tempaccio invernale padano. Nel pomeriggio decido di andare a Quarantoli sperando che ci siano voli in programma. Già un paio di chilometri prima di arrivare vedo un delta compiere evoluzioni sulla campagna. Parcheggio la vespa, saluto tutti e mi metto ad osservare i piloti che stanno montando le ali sui carrelli. Do una mano ad uno di essi a trasportare fuori dal fienile che funge da hangar l’ala del suo delta. Massimo ha già parcheggiato il suo ai bordi della pista. Mi avvicino, lo saluto e butto lì con noncuranza un:
“Pensi di riuscire a portarmi in volo oggi?” Dopo un breve attimo di esitazione finalmente cede ed un “va bene” dolce come il miele mi coglie quasi impreparato. “Fra poco dobbiamo partire, metti il casco che ti porto su subito.” Non me lo faccio ripetere ed in men che non si dica sono pronto e mi sistemo sul sedile posteriore. Massimo avvia il motore con l’avviamento a strappo e le vibrazioni mi salgono dal basso posteriore lungo la spina dorsale fino alla base della nuca procurandomi per la prima volta quelle emozioni adrenaliniche che poi diverranno così comuni, ma mai abituali. Si siede, allaccia le cinture e rulla fino alla testata pista. I giri del motore aumentano, il delta inizia a muoversi dapprima lentamente , poi accelerando e sobbalzando sulle asperità del terreno erboso. L’assetto cambia, il delta punta ora verso l’alto e mi rendo conto che siamo in volo e stiamo salendo rapidamente. La sensazione dominante è quella di essere in un veloce ascensore. Raggiunta una quota di sicurezza, livella il volo ed inizio a guardarmi attorno. Nubi basse, foschia, piedi gelati e visibilità scarsa, ma sufficiente. Cerco con lo sguardo il campo da cui siamo decollati ma non riesco ad individuarlo. La prospettiva delle cose è cambiata radicalmente ed io mi sono già perso. Non riesco più ad orientarmi, poi vedo la ferrovia che si trova a circa 500 metri sulla sinistra del campo e finalmente individuo il punto di decollo. Massimo si gira e mi chiede urlando per sovrastare il rumore del motore se va tutto bene, gli faccio segno di sì alzando il pollice. Vira a sinistra, la sensazione del niente intorno è inebriante e preoccupante insieme. Non ho paura e lo stomaco non crea problemi. Una virata a destra e cominciamo a perdere quota. Mi rendo conto che Massimo ha preso la direzione del campo. Sta già per finire, siamo in volo da solo un paio di minuti e sta già per finire. Mi godo la discesa molto dolce, poi i sobbalzi, peraltro lievi, mi indicano che abbiamo toccato terra. Rullaggio, parcheggio, spegnimento del motore; uno strano silenzio che per un attimo mi sconcerta, poi i suoni si riaffacciano alla mia coscienza. Sono tornato! Ringrazio Massimo e quasi in estasi, sfiorando appena il terreno, mi sposto per assistere ai decolli. La decisione è presa.

Non sono ancora convinto che tutto sarà così facile come dicono, ma costi quel che costi io diventerò un pilota!

Penso di conoscermi abbastanza bene e so che quando mi imbarco in un’impresa difficile, alla prima difficoltà posso essere preda di dubbi ed esitazioni o ripensamenti col rischio di mollare, così ho pensato a come costringermi a tenere duro. Comprerò un deltaplano e solo dopo inizierò a prendere lezioni di volo. Le mie finanze sono molto scarse e non posso permettermi di buttare al vento le mie poche risorse. La spesa già effettuata mi costringerà ad insistere, qualunque cosa accada. Il tempo mi darà ampiamente ragione.

A metà febbraio sono il nuovo proprietario di un deltaplano a motore autocostruito da uno dei piloti di Quarantoli, un tipo originale che vola poco ma che si diverte da matti a costruirli. Il carrello triciclo è piccolo e basso, monoposto, con il sedile di un ‘auto sportiva, un serbatoio ricavato da una tanica di plastica da venti litri, un motore Rotax 337 da 35 cv ed un’ala biposto per il volo libero adattata al volo a motore. E’ leggermente più piccolo della media e molto leggero e ciò gli dà ottime prestazioni di maneggevolezza e velocità di salita. L’ala però limita fortemente la velocità massima che non supera i 45 km/h in volo livellato. In compenso la velocità di stallo risulta essere bassissima, meno di 30 km/h, e questo è il dato più importante, specie per un pivello.

Quando avvicino Massimo per chiedergli un consiglio su chi possa darmi le lezioni di volo, saltano fuori inaspettate le ultime novità in materia. Il volo in deltaplano era a rischio. Non essendoci una legge per regolamentarlo, eravamo in balìa di un qualsiasi pretore che avrebbe potuto addurre motivi più o meno ragionevoli per vietarlo nella sua zona di competenza. Sarebbe bastato un piccolo incidente, anche non mortale, o semplicemente le proteste di un cittadino per mettere fine, almeno temporaneamente, alla nostra passione. Così un coro di voci si era alzata dai piloti più responsabili per chiedere una legge che regolamentasse il nostro volo e che ci avrebbe tolto questa spada di Damocle. E la legge era stata varata. La legge 106 metteva il “volo da diporto o sportivo” (così si sarebbe chiamato ufficialmente il nostro volare) sotto l’ala protettrice dell’Aero Club d’Italia. L’ala si sarebbe in breve trasformata in mungitrice, ma questo esula dal contesto. Ora c’erano regole da rispettare. In aprile la legge 106 sarebbe divenuta operativa e tutti coloro che volavano già sarebbero stati sottoposti ad una sanatoria (un esame pratico proforma) ed avrebbero avuto
l’attestato di volo (l’equivalente del brevetto dell’aviazione civile) automaticamente. Chi si avvicinava al volo solo ora, avrebbe dovuto frequentare una scuola di volo certificata dall’Aeroclub con tanto di istruttore regolare e lezioni di teoria, naturalmente a pagamento. Massimo mi consigliò la scuola di S. Felice sul Panaro dove a suo dire praticava il migliore istruttore del pianeta. Feci la visita medica necessaria e la prima domenica di aprile mi presentai al campo di volo di S. Felice.

Vanni Chierici

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