I frigo da na volta
In questa vecchia foto scattata tanti anni fa al palazzo di Portovecchio, in alto a destra, sotto la finestra si vede una strana cassetta con le pareti aperte…
Era il frigorifero del colonello comandante: una cassetta con tutte le pareti in rete da zanzare, con la parte superiore che si apriva dalla finestra. Fissato su due mensole di ferro, il “frigorifero” era tassativamente esposto a nord e serviva, in estate, ad esporre alla rugiada ed al fresco della notte gli alimenti più delicati, come latte, carne, brodo.
A Portovecchio era disponibile il ghiaccio “d’la giasàra” della Giavarotta, ghiaccio ottenuto comprimendo la neve in inverno in una ambiente in muratura ricavato sottoterra, ricoperto con una collinetta di terra, larga 8-10 metri ed alta oltre 3, ombreggiata da un boschetto di alte robinie. Il ghiaccio durava fino a primavera, ma qualche anno oltre fine giugno, serviva principalmente per le malattie dei cavalli o per quelli che si infortunavano, ma dietro presentazione di ricetta del medico condotto, il comandante lo concedeva anche agli ammalati del paese.
Serviva anche a rinfrescare le bevande agli ospiti del palazzo, convenuti per qualche importante manifestazione.
I frigoriferi invece più comuni ed accessibile ai più erano il secchiaio ed il pozzo. Il secchiaio era il locale più fresco della casa, perché ricavato nel sottoscala, per recuperare in altezza aveva il pavimento interrato.
Il pozzo invece si trasformava in frigorifero, calando con una corda un cesto di vimini, con mattoni per fare zavorra unitamente alle bottiglie del latte o contenitori con alimenti ermeticamente chiusi, poi la corda fissata all’arco della carrucola. Questo per chi aveva la fortuna di avere il pozzo nel proprio cortile.
Chi abitava in abitazioni con cortili in comune ed un solo pozzo, purtroppo la mattina poteva scoprire che qualche buontempone “aveva preso in prestito” qualche sua cibaria o bevuto il suo latte. Il pozzo era anche il frigorifero speciale per il cocomero, sempre alla giusta temperatura, mai troppo freddo come negli elettrodomestici moderni. Si calava il cocomero con un secchio, od un cesto se molto grosso, e si lasciava galleggiare almeno per tutta una notte. La gioia dei bambini era mangiare il cocomero la sera, prima di andare a dormire e quando il caldo imperversava. Se il cocomero era ancora nel pozzo, niente paura, il papà legava una candela alla catena, un metro sopra il secchio, calava il secchio nel pozzo e così si faceva luce per pescare l’anguria. Per i bambini, stretti alla mamma era un avvenimento fantastico: la pesca del cocomero al chiaro di luna! Adesso i pozzi sono spariti ed il cocomero non si pesca più.
Tratto da: “Lo Spino n°167”
Andrea Bisi