Storia del V Centro Allevamento Quadrupedi di San Martino Spino – IV capitolo

Storia del V Centro Allevamento Quadrupedi di San Martino Spino – IV capitolo

27 Gennaio 2019 0

Organizzazione e allevamento

L’organizzazione ed il funzionamento del Centro si evolse negli anni, ma per sommi capi la linea guida è rimasta immutata nel tempo

L’allevamento, mutuato da quello di Palmanova in Friuli, si orientò subito verso l’allevamento dei puledri con il sistema semibrado, che lo distingueva da quello tradizionale di Grosseto e Persano in Campania, con il sistema semibrado gli animali pascolavano in grandi recinti, potevano ripararsi la sera nelle tettoie e nei barchessoni, rimanendo liberi anche all’interno delle stalle.

Erano centinaia di fattrici soprattutto razza TPR (tiro pesante ra­pido), che venivano date gravide in «affida» a contadini di tutta l’Italia Set­tentrionale, che potevano utilizzare  l’animale di proprietà del Governo per i propri lavori. (L’«affida» era una usanza conosciuta fin dai tempi dei Pico)  Tramite la cartolina precetto, ai contadini arrivava l’ordine di presentarsi in data stabilita su determinate piazze col puledro ormai di tre mesi. Qui li attendeva la Commissione per la scelta che, oltre ai puledri precettati, poteva comprare anche cavalli anche da allevatori privati.

I cavalli venivano portati a San Martino per essere sottoposti a controllo sanitario e alla prova della malleina per la morva, la terribile malattia che può colpire gli uomini, e che, grazie anche alla profilassi compiuta da questi ufficiali veterinari del centro, è stata debellata: l’ultimo caso accertato a Mirandola risale al 1928.

Palazzo di Porto Vecchio-sede del Centro Allevamento Quadrupedi
Palazzo di Porto Vecchio-sede del Centro Allevamento Quadrupedi
Cavallo di razza TPR (tiro pesante rapido)
Cavallo di razza TPR
(tiro pesante rapido)
Forno crematorio
Forno crematorio
Muli
Muli

Gli stalloni riconosciuti portatori di malattie infettive venivano soppressi e bruciati nel forno crematorio che ancora esiste con il suo alto camino.

Si costituivano così branchi di puledri omogenei per età. Quelli non perfetti negli appiombi (criteri di valutazione a cui sono sottoposti i cavalli fermi ed in movimento) erano portati al reparto correttivo dove esperti maniscalchi, con ferrature speciali correggevano i difetti. I soggetti perfetti formavano gruppi a parte.

Una volta maturi, i cavalli venivano inviati al corpo di destinazione. Al­l’interno del Centro esistevano anche mediamente dalle ottanta alle cento cavalle fattrici che, ingravidate con asini, partorivano dei muli.

E’ notevole come venissero programmati gli accoppiamenti al fine di avere muli di grossa taglia per carichi pesanti (Stallone di Manina-Franca) o muli più leggeri e più agili (stalloni siciliani). È interessante a questo pro­posito sapere che già nel 1947 gli ufficiali veterinari praticavano la feconda­zione artificiale con seme di asini siciliani troppo bassi per la monta delle cavalle: questo a conferma di come tecnologicamente il centro fosse avanza­to. Qui si iperimmunizzavano contro il tetano cavalli di razza bretone che ogni tre mesi venivano mandati al Centro Siero Antitetanico di Bologna, contribuendo così attivamente alla lotta contro questa malattia che ricono­sce come ottima arma di difesa il siero iperimmune ricavato da sangue di cavalli donatori. Questi cavalli ogni tre mesi venivano sostituiti.

Gli animali senza le caratteristiche sopracitate, o a fine carriera, venivano messi all’asta.

La vasta superficie coltivabile era principalmente occupata da prati sta­bili ed erbai che periodicamente venivano falciati, indi si procedeva alla fie­nagione e il tutto accumulato nei vasti depositi della tenuta. La produzione constava anche di avena e veccia. Il raccolto consentiva al centro una quasi totale autosufficienza.

Anche le famiglie presenti sfruttavano parte del terreno per i propri fabbisogni, ed oltre a questo vi erano bovini di razza maremmana che for­nivano latte, carne e lavoro nei campi. Da questo si può vedere come il Centro fosse ben architettato in ogni suo reparto e in linea di massima autosufficiente.

La vastissima tenuta di Portovecchio constava di tre settori: un distacca­mento di cavalleria il cui comandante era anche il direttore del centro, un settore con a capo un ufficiale veterinario che si occupava delle attività zootecniche e, in ultimo, il settore agrario diretto da un perito assunto per concorso.

All’interno alloggiavano circa quaranta famiglie con cinquanta impiegati fissi. Durante il periodo estivo erano anche assunti degli operai stagionali che talvolta arrivavano ad un numero massimo di duecento unità.

Da Quaderni della Bassa Modenese n°3 Antonio Gelati

Le foto sono tratte da “San Martino Spino Album di Famiglia”