1966-1970 Gli anni bui della transizione
GLI ANNI BUI DELLA TRANSIZIONE:1965-1969
Il viaggio in Germania convinse Veronesi: io e Gianni Bellini potevamo essere utilizzati in una sicura espansione delle sue attività. Non so chi lo convinse di più, anche perché io avevo le mie pendenze che mi impedivano un ingresso immediato nel mondo del lavoro: laurea, servizio militare erano le due Gorgoni che mi sbarravano il cammino ad un salario decente e ad un po’ di felicità finanziaria. Gianni Bellini aveva invece bisogno di una sistemazione immediata, e Veronesi lo spedì in quel di Como a lavorare all’Artsana, per imparare un mucchio di cose che ben fittavano con la vulcanica immaginazione del Bellini: tra l’altro, come si fa un catalogo che aiuti a vendere, come si fa il marketing dei prodotti ospedalieri.
Per Bellini il soggiorno a Como fu breve e seguì il rientro in pianta stabile alla Miraset (questo era il nome della prima società di Veronesi) . Veronesi e lui mi sollecitarono ad andare in Germania a commercializzare i prodotti della Miraset, la cui gamma intanto andava aumentando: sonde, sondine, cateteri . Dati i miei impegni sopramenzionati dovetti rifiutare , rodendomi il fegato perché dovevo aspettare, e non potevo lanciarmi nella mischia.
Veronesi aveva un socio, Gasparini, persona sul piano umano forse più simpatica di Veronesi, e più tagliata per gestire aspetti commerciali (lui era un commercialista, nonché un appassionato di ciclismo, nonché fratello di Teresa, la mia compagna del liceo, a cui mando un caro saluto). Gasparini mi fornì qualche lavoro di collaborazione saltuaria, traduzioni, lettere commerciali e fu sempre molto gentile e ben disposto nei miei confronti.
Veronesi un giorno mi diede una vera chicca : un manuale di istruzioni di un rene artificiale da tradurre in italiano. Il manuale arrivava da Verona, dalla clinica del Prof. Confortini, uno dei suoi numi tutelari,(e ne avrebbe avuti tanti in seguito in ambiente medico-ospedaliero, in Italia e in Europa). Lo tradussi senza avere la minima idea di quanto il rene artificiale avrebbe pesato sulla nostra vita futura.
Andai vicino a perdere completamente i contatti con questa crescente realtà , anche perché dovevo insegnare a scuola momentaneamente per tirare la carretta, e intanto Gianni Bellini e Veronesi vivevano momenti frenetici, come la nascita della seconda e la terza società, la Sterilplast (che inglobava la Miraset) e la D(ivisione)A(pparecchi)Scientifici, dedicata alla produzione di apparecchiature per emodialisi, poi denominata DASCO.
Le due aziende si trasferirono in una nuova sede, ovviamente non nel comune di Mirandola, dove Veronesi era stato per motivi politico-familiari completamente ostracizzato, ma nel contiguo comune di Medolla: in effetti anche in futuro i rapporti tra Mirandola e Veronesi rimasero burrascosi (nemo propheta in patria), ma lui era un ostinato e si intestardì a continuare a creare aziende in loco, nonostante ostacoli di ogni tipo.
ANNI FAUSTI: DASCO E BENTLEY, 1970-72
Emergono alla fine gli anni settanta, con tutto il loro splendore.
Libero finalmente dal noioso servizio militare e altre zavorre, apprezzai e colsi al volo l’offerta di lavoro di Gianni Bellini, anche se nella mia testa non avevo assolutamente chiaro cosa volevo fare (per es. occuparmi di pubblicità o gestire un ufficio del personale :erano tutte cose di moda allora) . Volendo, avrei avuto una cattedra per insegnare inglese alla scuola media, e un paio di posti decenti per lavorare alla Standa e presso un esportatore di frutta di Vignola. (1)
Mi era sfuggito il gigantesco, esponenziale, rapidissimo sviluppo che il rene artificiale aveva creato in Dasco. In aggiunta ora era stata creata al suo interno una nuova divisione agli albori, i prodotti per cardiochirurgia .Quest’ultima era nata dietro le sollecitazioni di un altro padre putativo importantissimo nel nostro settore, il Prof. Sprovieri, romano,figlio di un giornalista del Messaggero, ottima forchetta, cardiochirurgo puramente teorico, ma grande maneggione ed intrallazzatore (sempre in senso buono, s’intende) , il quale aveva vinto la cattedra universitaria a Modena, ma lì credo proprio non abbia fatto neanche la minima operazione chirurgica. Nel suo soggiorno parigino, e non solo parigino, aveva conosciuto molti dei luminari cardiochirurghi di allora, e aveva una grande familiarità anche col primo produttore americano di dispositivi monouso indispensabili per effettuare operazioni chirurgiche a cuore aperto, Mr Bentley.
La società Bentley era situata a Santa Ana in California.
Bentley cercava un punto di espansione in Europa dove poter assemblare e distribuire i suoi prodotti, Veronesi era disponibile, con la mediazione di Sprovieri fu un gioco da ragazzi mettersi d’accordo.
Lo scenario europeo di allora vedeva una espansione rapidissima del rene artificiale e della cardiochirurgia, sulla scia di quanto succedeva negli USA. Veronesi arrivò prestissimo sulla scena europea e nel 1970 almeno per la dialisi era già in grado di poter contare su una rete di distributori capillare e completa, dalla Sicilia a Stoccolma.
Nella primavera del ‘70 fui assunto in Dasco per curare il marketing europeo della linea Dasco-Bentley per la cardiochirurgia. Per intervenire chirurgicamente sul cuore aperto erano (e sono tuttora) necessari un chirurgo in gamba, un buon anestesista, un ottimo staff, includente una figura professionale nuova, il perfusionista (allora chiamato pompista) .Quest’ultimo doveva occuparsi del bagaglio tecnologico indispensabile a questo tipo di chirurgia (include la macchina cuore polmone con annessi articoli monouso :ossigenatore, reservoir di cardiotomia, tubatismi ecc.). La mia esperienza precedente ammontava a zero.
Referenze: Veronesi era soddisfatto di avere qualcuno in ufficio che potesse dialogare telefonicamente , in inglese, con la Bentley dopo le sette di sera (fuso orario) e Gianni Bellini era contentissimo di avere uno che ,almeno sulla carta, gli potesse rilevare una considerevole mole di lavoro, permettendogli di dedicare più tempo ad attività contigue, come la pubblicità..
Gasparini restava sempre il supervisore finanziario e commerciale dell’azienda nella sua globalità.
Libero Luppi, ex tecnico in una ditta che produceva gomma, era per allora una specie di product manager della linea cardiochirurgia (titoli e qualifiche erano allora ovviamente approssimativi), contava sull’ottimo Sgarbi (a Mirandola conosciuto solo come Sgarbèt) per il confezionamento dei tubi sterili per la CEC(2)ed era anche responsabile per l’assemblaggio corretto dei prodotti americani. Poi c’era Bob Steg , l’ebreo californiano trait d’union tra noi e la Bentley che viaggiava il mondo per fare dimostrazioni coi prodotti Bentley, e per addestrare tipi come me, o distributori , o perfusionisti negli ospedali.
Sprovieri naturalmente era sempre in zona , perciò c’era un grande fervore: volendo presso la Clinica di Modena potevo fare tutto l’addestramento teorico sui prodotti e su come si assemblava un circuito di cardiochirurgia..
Cominciai subito con una serie intensissima di viaggi e assistetti a numerosi interventi chirurgici di alta macelleria, con chirurghi prestigiosi, Dubost a Parigi, Senning a Ginevra, Pellegrini a Milano, Actis Dato a Torino, e molti altri.
In ufficio mi centellinavo quella che allora era riconosciuta come la bibbia del cardiochirurgo, il Manuale di Cardiochirurgia di Galletti e Bretcher. Conobbi il Dott. Galletti, nizzardo, molti anni dopo: era una persona amabilissima.
Mi ero anche schedato via via tutti i nostri potenziali clienti, i centri di cardiochirurgia europei,e preparavo anche qualche piccolo depliant targato Dasco da affiancare a quelli originali della Bentley.
Tra i nostri agenti si annidavano personaggi singolari , come lo svizzero Vouillerat , che di svizzero non aveva proprio nulla e si comportava come un anarchico napoletano.
Mr Bentley e Veronesi mi tenevano pungolato, Veronesi aveva la ossessione del mercato tedesco, dove probabilmente per motivi biogenetici i nostri rapporti furono per decenni molto conflittuali, anche se globalmente questo mercato ci apportò comunque notevoli successi economici.
Purtroppo, almeno in quel momento iniziale, il distributore tedesco (Franz Roesch) si dimostrò pochissimo collaborativo, mentre molto meglio funzionavano le cose in Francia, sia per gli eccellenti rapporti di Sprovieri e della Bentley con la cardiochirurgia francese, che per la meticolosa assiduità del nostro distributore locale, il Sig. Crocco(4) ,ex pied-noir cacciato dall’Algeria e il suo collega Micaleff.
In Olanda avevamo un vero pirata purosangue, Theo Spangenberg, che prima ci aiutò moltissimo, ma poi fu l’artefice del distacco di Bentley dalla Dasco e della costruzione di Bentley Europe nel suo paese, con uffici e stabilimento ad Uden.
Il Belgio si stava già rivelando paese di grandi soddisfazioni,dove il nostro agente Mr Bruneel, anche lui fuoruscito dal continente africano dopo la decolonizzazione del Congo, istaurava rapporti con la classe medica che si sarebbero rivelati estremamente duraturi e proficui.
Bruneel pensò di assumere una persona dedicandola esclusivamente alla cardiochirurgia, e mi chiamò in Belgio per assisterla nei suoi primi passi.
Fu così che feci la conoscenza di Mr Van Valleghen. Il nostro primo combined tour fu una specie di catastrofe: lui risiedeva a Lovanio (una trentina di chilometri da Bruxelles) e lì mi aveva prenotato l’hotel. Mi raggiunse la mattina con una Volvo fiammante, con la quale percorremmo l’intera distanza fino alla capitale, senza che Van Vallaghen osasse mai ingranare una marcia più alta della terza. E guidare lo sfiniva veramente (“Monsieur Goldonì, je sui crevee” era quello che andava ripetendo). Ahimè, arrivati a Bruxelles mi resi conto che lui non conosceva la città e tanto meno la collocazione degli ospedali dove Mr Bruneel ci aveva fissato gli appuntamenti. Ciò ci fece andare buca l’intera giornata, poiché eravamo sempre nel posto sbagliato all’ora sbagliata.
Alla fine Van Valleghen, poveretto, mingherlino, sudato e sfinito si appoggiò contro la colonna di uno di questi megaospedali e mi disse che questo lavoro non era per lui : io lo rincuorai , facendogli notare che l’inizio era sempre duro, mentre mi chiedevo come mai avesse abbandonato il suo lavoro di abile cesellatore di coppe e medaglie.
Riuscì a superare questa crisi e anni dopo lo ritrovai a capo della Dasco Hospal belga.
In Italia Veronesi gestiva una rete di rappresentanti molto speciale, che fra l’altro vendeva entrambe le linee, il rene e la cardio, nelle regioni chiave per dimensione e organizzazione ospedaliera:
in Piemonte aveva il Conte Ottini, un nobile spiantato, divertentissimo, che si era autodefinito “il principe del piscio” avendo a che fare con il rene e le sue caratteristiche specifiche.
Nel Veneto operava, facendo affari d’oro,il vecchio collaboratore della farmacia che Veronesi possedeva e gestiva a Mirandola ,Amanzio “Donati”(3)(miracolosamente sfuggito durante la guerra ad entrambi i plotoni d’esecuzione, il partigiano e il repubblichino). Amanzio era stato anche collaboratore di mio padre, vendendo i prodotti della nostra pasticceria nelle varie osterie della valle,che teneva impilati in una serie di cassette fissate alla sua Vespa.
Andai un paio di volte con lui in particolare alla cardiochirurgia di Padova, che era già un centro pilota del settore, e ciò che mi stupì era la conoscenza capillare della rete stradale veneta da parte del buon Amanzio: non ha mai fatto un chilometro di autostrada, alla quale preferiva itinerari alternativi “creativi” e a costo zero..
Carlo Bellini, cugino di Gianni Bellini, ex mirandolese, ex libico (il padre era emigrato a Tripoli),ex milanese (reduce da una lunga gavetta come gestore di un cinematografo di Milano, e da una sfortunata impresa di fabbricazione di cuscini) navigava riccamente su tutta la Lombardia, dopo aver trasferito il suo nucleo familiare da Milano a Mirandola.
Vanzini, altro mirandolese, aveva fatto partire con successo la dialisi nelle Puglie.
Erano pagati profumatamente, 5% sul fatturato, senza problemi di recupero crediti e cose simili.Tutto ciò ha dell’inverosimile al giorno d’oggi.
Nel lombardo –veneto in particolare essi erano la cerniera tra noi e i centri ospedalieri più prestigiosi.
Per lungo tempo il centro dialisi di Verona , o quello milanese dell’ospedale San Carlo vennero utilizzati dal sottoscritto , come da tutta la nostra organizzazione, come centri pilota dove portare ospiti stranieri, arricchendo l’immagine nostra e di queste moderne strutture ospedaliere.
Dalla Clinica Nefrologica dell’Ospedale S.Carlo di Milano in particolare uscirono gli assistenti del Prof. D’Amico, il dott. Orlandini e il dott. Petrella, che tanto cammino avrebbero percorso con noi.
Nella cardiochirurgia il Prof. Pellegrini al Niguarda di Milano ospitò schiere di cardiochirurghi stranieri che andavano lì ad affinare le loro conoscenze, anche con il nostro supporto economico (gli ungheresi Kroo e Bodor tra gli altri).
Nel resto d’Italia Dasco contava invece su distributori locali.
(1) Foto dei partecipanti all’inventario fine 1970 in Dasco:da sinistra Valter Vitasio-io seminascosto-sc-sc-sc-Giulia Rebecchi-Luigi Bassi-sc-Enzo Paltrinierii, tecnico di assistenza-sc-sc-Giorgio Garutti (giurgèn)-sc-sc-sc-Lucio Gibertoni-Silvia Baraldi-sc-sc-Carlo Bellini-Franco Chiodarelli-Boccafoli-Armando Neri-Maurizio Acciuffi-Gigetto Verri-Carlo Vanzini-sc
(2)L’insieme dei tubi sterili che collegano in circolazione extracorporea il paziente alla macchina cuore-polmone
(3) Donati non era il vero cognome: “do’ natti”:significa due protuberanze sulla fronte. Il suo vero cognome è Malagoli
(4) Gasparini e Mr Crocco il nostro distributore cardiochirurgia in Francia