1985 – Diario amato diario
Naturalmente in Germania i contrasti Beisner-Pieroth tendevano ad acutizzarsi, dato che entrambi miravano al dominio reale della filiale. Beisner si recò di persona da Cosani per chiedere lumi sul suo futuro, ma ricevette solo pacche sulle spalle per la sua attività attuale e assicurazioni vaghe per il futuro. Lo vedemmo presto abbandonare la partita per ritirarsi nel nord della Germania, non prima di essersi recato con me in Romania nel mese di febbraio.
Come anticipato ,qualche tempo prima il buon Roesch, anche utilizzando le raccomandazioni del Prof. Heinze, luminare noto e qualificato, era riuscito a monopolizzare i finanziamenti che la Charitas di Friburgo convogliava verso la Romania, sotto forma di assistenza sanitaria ai malati nefropatici.
Il progetto originario era stato naturalmente di finanziare dei centri dialisi romeni solo nell’area transilvana dove ancora vivevano comunità importanti di franconi e svevi, ma l’acuta necessità del paese aveva costretto la benemerita organizzazione assistenziale anche alla realizzazione di un centro dialisi a Bucarest.
Le forniture di apparecchiature e di materiale di consumo erano state per la stragrande maggioranza fornite dalla Bellco tedesca, e rappresentavano un elemento di fatturato importante.
Il motivo del mio viaggio con Beisner era di farmi conoscere ai funzionari romeni incaricati di tenere le relazioni con la Charitas e rendermi conto di persona della situazione. Io ero doppiamente interessato, perché la Romania, anche se solo teoricamente- data la assoluta mancanza di investimenti da parte di Ceasescu nel settore della sanità –apparteneva al gruppo di paesi dell’Europa Orientale di cui mi occupavo da lungo tempo.
Il viaggio fu fosco, livido e ghiacciato. Bucarest era sotto una spessa coltre di neve ormai invecchiata, e gli sforzi di ripulire la città erano praticamente inutili dato che non esisteva traffico urbano. Gli edifici erano privi di energia elettrica e riscaldamento, per cui la popolazione soffriva pene infernali. Il paese stava toccando il fondo dopo anni di politica scellerata condotta dal grande satrapo.
Mi sentivo vagamente in colpa nel poter godere di un minimo di confort nell’hotel in cui alloggiavo, sapendo che questo confort era precluso a milioni di persone. L’hotel era pieno solo di previlegiati somali e abissini, che non ho idea cosa facessero a Bucarest, ed aveva un’aria lisa e derelitta: si poteva cenare pagando la birra in valuta locale e la bistecca in dollari.
Avevo visitato la Romania l’ultima volta nel 1972 e allora il paese non era complessivamente molto peggio dei paesi vicini, ma ora la differenza era abissale, e non era difficile immaginare che la situazione sarebbe cambiata in modo violento da lì a non tanto, dato che la popolazione era con le spalle al muro.
Ovviamente approfittai dell’occasione per contattare mio suocero, il quale coraggiosamente venne a trovarmi in albergo dopo un viaggio laborioso; scambiammo le informazioni sulla situazione familiare sua e quella nostra in Italia, ovviamente sempre controllati a vista da un poliziotto in borghese al quale era stato affidato il compito di controllare le mosse di mio suocero.
Io e Beisner dopo i soliti colloqui di rito con i funzionari sopramenzionati e una breve visita al centro dialisi di Bucarest fuggimmo precipitosamente nella calda Germania, non senza rimanere quasi assiderati nell’aeroporto della capitale romena .
Il nostro aereo era infatti in ritardo, l’aeroporto era bloccato da alcune ore dato che si attendeva il rientro da Tripoli del grande fratello Ceausescu, e un migliaio di persone, i fedelissimi, infagottati alla meglio ,erano allineati sulla pista per le ovazioni che sempre gli venivano attribuite al rientro in patria.
Dopo l’uscita di scena di Beisner Pieroth dal canto suo non approfittò in modo plateale della situazione, sicuramente a lui molto favorevole. Con grande eleganza si candidò non alla posizione di Beisner, ma a quella ancora vacante di direttore commerciale della filiale, alle mie dirette dipendenze , e data la sua esperienza e le note qualità e ricchezza di contatti importanti a nessuno venne in mente di negargliela.
Pieroth aveva anche un piccolo atelier domestico dove si dilettava a costruire sofisticate apparecchiature (per esempio una pompa per infusione neonatale, oggetto molto richiesto nelle cliniche specializzate) e questo recava lustro e vanto sia a lui che alla Bellco.
Il suo prestigio e la sua esperienza non erano messi in discussione e la sua nuova posizione portò stabilità alla Bellco Germania.
All’abituale meeting annuale del personale di dialisi tedesco ad Ulm Bellco nel febbraio di quell’anno si presentava in modo volitivo ed ambizioso.
Una serata festiva in birreria con un lungo tavolo ricoperto di lunghe file di boccali di birra ci vedeva , clienti, venditori, nonché belchini doc di provenienza mirandolese (il validissimo tecnico Sanzio Grana in testa), in un buon momento di collaborazione, nel carnevale di Ulm (che quasi ogni anno coincideva con il convegno).
Anche l’”avvenente”Acciuffi, il nostro factotum pubblicitario , allietava la serata nella birreria, in un balletto improvvisato con tre ragazze travestite da ranocchie che avevano messo gli occhi sul maschio latino .Il quartetto non si fece intimorire nemmeno dall’entrata di una ronda della Military Police (Ulm era sotto l’amministrazione militare americana): questi ultimi appena messo piedi nel locale furono salutati da una fragorosa risata e pensarono bene di togliere immediatamente le tende.
Ad Acciuffi andò molto meglio che qualche anno prima , all’EDTA di Istambul, dove aveva ricevuto sollecitazioni sì, ma da turchi del suo stesso sesso!
Il momento era estremamente fluido, e anche il gigante dei giganti, la Gambro, stava attraversando un momento finanziario delicatissimo.
Con un po’ di buona sorte in più avremmo potuto far fruttare tutto quanto veniva seminato, ma una grande inquietudine serpeggiava in quel di Mirandola e annebbiava la nostra volontà.
A distanza di poche settimane ci attendeva la data storica del 30 aprile, in cui tutto il vecchio staff manageriale della Bellco dopo 12 anni dalla fondazione avrebbe lasciato la società:
non contando Veronesi che era già fuori da qualche tempo,Trazzi l’amministratore (rimpiazzato solo temporaneamente dal ragionier Cavicchioli), Flandoli, Lucio Gibertoni, Giurgèn Garutti, Libero Luppi, Alessandro Calari, Charlie Bellini , diedero le dimissioni.
Il 1985 è anche l’anno in cui mi misi a scribacchiare note di commento agli avvenimenti.
Io commentai allora saggiamente in una prima nota:”Il giudizio negativo su quasi tutti questi personaggi non significa che per forza maggiore chi li sostituirà possa e debba essere migliore.
Come la mia breve esperienza mi ha insegnato , al peggio non c’è mai limite e si va sempre in discesa”.
Dove andarono a finire tutti questi personaggi? Ma in Dideco naturalmente! (con l’eccezione di Libero Luppi e Lucio Gibertoni). Alberto Chierici che con grande forza di volontà aveva contribuito alla crescita vorticosa di questa società era forse contento di vedersi arrivare tra capo e collo questa sfilza di personaggi ? Nooooo! Per lui essi rappresentavano una inutile sciagura non cercata e non richiesta, da aggiungere alla tollerata presenza di Alberto Veronesi,alias direttore vendite Italia, alias figlio del Boss .
Non era comunque difficile pronosticare che per questo gruppo la Dideco era soltanto un santuario dove prendere fiato. Papà Veronesi avrebbe trovato l’ennesimo grande compratore a cui facilmente vendere una azienda con crescite annuali a due cifre. Carichi di luccicanti monete d’oro, loro avrebbero lasciato anche la Dideco (il loro soggiorno durò meno di due anni, ), chi per seguire Veronesi in ulteriori avventure, chi per seguire nuove iniziative, quasi sempre fallimentari.
Secondo una sana, vecchia tradizione, in Dideco si era privilegiata la costruzione dello stabilimento di produzione, e gli uffici erano stati ricavati in un vecchio capannone privo di fronzoli: furono aggiunti alcuni cubicoli per i nuovi “assunti”, ma alcuni di loro non si presentarono all’appello, mentre altri collaborarono attivamente.
Chierici entrò presto in collisione sia con le bizze amministrative di Trazzi che con le fumoserie di Flandoli, al punto tale che dopo l’ennesima crisi di nervi si ritirò a rilassarsi per qualche giorno all’Ospedale di Mirandola.
In effetti per lui non fu un periodo facile; Calari fu probabilmente l’unico a trasbordare in Dideco know-how e fattiva collaborazione per l’ing. Panzani, anche se il separatore cellulare, lanciato ormai da più di due anni, aveva un sacco di problemi e rimase per anni un tormentone non risolto.
Ai transfughi si unì anche Leonardo Bigi, che non faceva parte dello staff manageriale, ma per il quale era già pronto un adeguato trattamento economico in quel della Dideco, sia come ricercatore che responsabile del laboratorio chimico.Restò in Dideco sino alla pensione, con un buon lavoro a livello di laboratorio chimico, ma con risultati scarsissimi in termini di ricerca.
Inutile sottolineare che Veronesi si era già attivato per vendere anche questa sua più recente creatura.
All’Est io continuavo la mia attività, avvalendomi sempre dei soliti ,fidati ,efficienti collaboratori locali, con la sola eccezione della inquieta Polonia, dove il turnover delle persone era accentuato dalla instabilità politica del paese: come avevo anticipato, dopo l’esoticizzato sognatore Gomulka ci fu la breve parentesi di Pawel Dytko, giovane collaboratore presto trasferitosi a Vienna, per poi passare nelle mani efficienti e sagaci del giovane Tomasz Szarkowsky, già carburato per la Polonia del futuro: la sua presenza ci portò innegabili vantaggi immediati, anche se la Bellco negli anni a venire non ne seppe sfruttare a fondo la potenzialità.
In Jugoslavia, nonostante la frenetica attività dei nostri principali concorrenti , Travenol con il suo centro di produzione in Serbia, Gambro con i suoi inesauribili finanziamenti ad personam, Fresenius e la sempre presente triestina Eurospital, la larga base di clientela che avevamo accumulato ci continuava a garantire un business rilevante. Anche la vecchia Dasco non era sparita completamente. Aveva finalmente trovato nel Sig. Merighi, mio compaesano, una persona paziente e capace di gestire il gestibile , e di far sopravvivere almeno una parte di quanto era stato creato prima da Gianni Bellini e poi dal sottoscritto. Merighi si immedesimò talmente bene nella parte, da “serbizzarsi” quasi totalmente: lo ricordo ballare il kolo spigliatamente nelle cene ufficiali che sempre prevedevano il ballo come componente fondamentale del cerimoniale.
In Ungheria i miei contatti personali con il personale medico e paramedico erano talmente buoni, che ciò permetteva al Nizsalovszky di defilarsi, avendo lui anche altri impegni pressanti, tra cui una nuova moglie giovane.
Stava sorgendo un nuovo astro nella nefrologia ungherese, il Dott. Taraba, il biondo, nordico dottor Taraba, legato a filo doppio con la Gambro . Anche con lui, dopo un primo momento di reciproca incomprensione, i conflitti si appianarono e vennero riassorbiti. Lui comprese inoltre che noi fornivamo un vero servizio “customer oriented” molto più del nostro agguerrito concorrente svedese.
Per esempio, io stesso approfittando di un viaggio con mia moglie e le mie figlie nei lidi asburgici nel mese di agosto gli recai dei campioni di materiale di cui il suo centro aveva urgente bisogno.
E cosa faceva Gianni Bellini? Era riuscito a cedere la Miramed, incredibilmente, a Travenol, il gigante mondiale del settore. Si racconta che Travenol volesse e non volesse . Penso che Gianni Bellini abbia attraversato momenti difficili, ma alla fine tutto si risolse in modo positivo.
Travenol comunque cercava una base europea per la produzioni di massa dei suoi articoli più a buon mercato (per esempio i sets per infusione) e pensava di aver trovato nel mondo variegato di Mirandola la sede ideale, per poi accorgersi rapidamente che questa sede non era l’ideale né per i prodotti di massa, né per la mano d’opera a buon mercato.[2]
Miramed era invece, anche per il buon lavoro di guida di Giorgio Mari, un chimico esperto di fibre,
orientata verso la produzione di articoli di nicchia, in particolare nel settore trasfusionale, alla quale stava inoltre aggiungendo la fabbricazione di sacche per nutrizione parenterale.
Dopo il primo trambusto , anche grazie all’abile lavoro della persona delegata da Travenol a dirigere la Miramed, il De Luca, si trovò un’altra preziosa fonte di business per questa tormentata azienda: produrre articoli “custom” di nicchia per conto delle varie filiali Travenol nel mondo, che la casa madre non riusciva a fornire, in svariati settori, dialisi peritoneale, nutrizione neonatale ecc.
Il napoletano De Luca era molto portato alle relazioni umane: reduce dai successi riportati come gestore della filiale Travenol in Svezia prima, e della megafiliale francese dopo, sapeva come navigare nel complesso oceano di una multinazionale dalla struttura intricata, e inoltre seppe infondere ai frastornati collaboratori mirandolesi sicurezza e fiducia .
Ovviamente, con tanta simpatia, Gianni Bellini fu messo un po’ in disparte ,e lui pensò bene di fondare un’altra ditta, la Diatekno, dove dar nuovamente lustro alle proprie ambizioni. Poteva avvalersi della collaborazione di Giorgio Mari e altri collaboratori della Miramed, ai quali diede subito una quota azionaria della Diatekno, ripetendo il vecchio meccanismo messo in atto alla fondazione della Miramed.
Inoltre la Diatekno divenne subito un importante subcontractor della Miramed.
Gianni Bellini propose a me la gestione commerciale della Diatekno. Io mi trovavo in una situazione critica,ormai ero disincantato dall’andazzo di Bellco e per istinto non credevo che ormai la Bellco potesse offrirmi molto di più di quanto mi aveva già dato.
Noi italiani viviamo nel mito della dirigenza: la dirigenza corona l’attività di lunghi anni sudati ,anche se crea un solco tra chi ce l’ha e chi no, e tuttora, anche se ha perso molto del proprio fascino, resta pur sempre un valido obiettivo.
Essa è comunque anche uno steccato artificiale all’interno delle aziende , ma esiste e bisogna tenerne conto.
Gianni Bellini era un mio grande amico, da anni, al quale dovevo molto, e la sirena della dirigenza, da lui offertami, cantava in un modo al quale pochi avrebbero saputo resistere, ma per il momento –eravamo nella primavera del 1985- rifiutai: non ero convinto della solidità di questa sua nuova costruzione.
Una mia nota di allora:” Con tutto il rispetto, preferisco rimanere in Bellco: il futuro mi dirà se ho fatto un errore madornale”.
Per un attimo in Bellco ci si rendette conto di cominciare a perdere terreno e si iniziò una ricerca più realistica di prodotti nuovi: l’Enichem ci mandò anche un nuovo gruppetto di ingegneri milanesi a dare un contributo in materia: sfortunatamente essi durarono poco e la Bellco si riappiattì in una mortale routine. Rifiutammo anche la possibilità di sfruttare un semplice sistema di autotrasfusione monouso, elaborato da un tecnico ospedaliero svizzero, molto diverso da quello Dideco che abbisognava di una apparecchiatura dedicata, e che ci avrebbe sicuramente recato grandi soddisfazioni.
L’EDTA di Bruxelles in giugno non portò novità di rilievo: per me frotte di visitatori provenienti da Jugoslavia e paesi circonvicini, nonché una azione assai di facciata per quanto riguardava la Bellco Germania.
Il fido Vaccari scriveva in una sapida nota, a proposito di quanto accennato prima:” Inutile menzionare che stiamo perdendo terreno. Al Congresso (EDTA) la Bellco proponeva solo del fumo. I clienti purtroppo sono di altro avviso e si orientano verso la concorrenza”.
C’era sempre una grande effervescenza a proposito dell’utilizzo di membrane filtranti alternative al cuprophan della Enka ; la Fresenius con un colpo da maestro si era resa indipendente proponendo perciò una membrana nuova , per un nuovo tipo di trattamento dialitico e con migliori risultati (naturalmente a prezzi molto superiori a quelli ormai standard del normale trattamento dialitico). Le definizioni scientifiche delle nuove tecniche emergenti abbondavano: emofiltrazione, emodiafiltrazione., ecc.
Cosani iniziò un vano corteggiamento della Fresenius per ottenere almeno una licenza di utilizzo in determinate aree geografiche, invano.
Dopo le vacanze estive i buchi neri lasciati dalla dipartita di Trazzi (Amministrazione e Personale) e di Carletto (Marketing e Vendite) vennero in parte riempiti, ma purtroppo non permettendo alle energie interne all’azienda di avanzare .Alcuni di noi, dopo una lunga militanza di successo, avevano accumulato delle legittime aspettative, ma invece si pescò nella immane galassia di Enichem. Solo nell’amministrazione Cavicchioli –e solo temporaneamente- mantenne il suo posto. Scarfì si trovò un marziano a capo del personale e tutti noi delle vendite, a fumata bianca avvenuta, il fatidico 18 settembre , ci sentimmo annunciare che il responsabile della funzione commerciale era uno sconosciuto Ing. Stefano Rimondi .
Mia nota dell’1.10.1985:
“Abbiamo un nuovo direttore marketing: sospendiamo il giudizio e risentiamoci tra qualche mese sui punti di questa checklisti :la sua
CAPACITA’ DI MOTIVARE SUBALTERNI
CAPACITA’ DI MANDARE AVANTI PROGRAMMI ORGANICI
COLLABORATORI NUTRONO FIDUCIA E SI IDENTIFICANO IN LUI
SBLOCCARE LE RIGIDITA’ BUROCRATICHE ACCUMULATESI
DIFENSORE OBIETTIVO DEGLI INTERESSI COMUNI
SCONTRO CON DIREZIONE MEDICA E IL GRANDE DIRETTORE
(E’QUASI UN OBBLIGO)
SEPARARE GRANO DAL LOGLIO:
CATTIVI COLLABORATORI GIU’
BUONI SU
INQUADRARE LOGICAMENTE FUNZIONI E COMPETENZE: AZIONI COMMERCIALI
IN NUOVI PAESI ECC
Io ad oggi resto dell’idea che Cosani avrebbe fatto meglio a tenersi un lungo, inesauribile interinato , come direttore commerciale , dato che lui era tagliatissimo per questo tipo di professione.
Un elemento che giocò a favore della mia dipartita dalla Bellco fu che Veronesi e Chierici , una volta che io gli avevo creato , almeno in parte , un mercato interessante per la Dideco nell’Est Europa, pensarono di togliere alla Bellco la rappresentanza nell’area e di assumere uno specialista di prodotto che si occupasse dell’area a tempo pieno.
Devo ammettere che non ero affatto stupito della decisione, per due motivi fondamentali. Il primo e più importante era che io non avevo il tempo di occuparmi di cardiochirurgia (era quasi un full-time job) e lì la Dideco aveva un grande potenziale intatto da sfruttare. Inoltre, anche in funzione di una assai vicina vendita della Dideco, Veronesi non voleva conservare legami di sorta con la Bellco, cioè con il Golem Enichem.. Cosani accettò supinamente la decisione , senza nemmeno richiedere la minima contropartita.
Così fece la comparsa in quel di Mirandola il Bassoli, parente di Nicoletti, con la sua vaga aria da mandarino cinese, che restò attivo in Dideco fino al 1991 e si occupò per la Dideco , tra l’altro, del mio vecchio territorio .
Nei paesi di cui mi occupavo da anni essere privato dell’avanzata e progressiva tecnologia di molti dei prodotti Dideco creava una influenza estremamente negativa sulla mia attività; mi vedevo proprio ricatapultato a proporre prodotti ormai privi di carica innovativa ed essere costretto a giocare solamente sui prezzi e sulle sponsorizzazioni.
Sul versante Dideco siamo all’apice delle relazioni tra Chierici e Veronesi, destinate in un periodo abbastanza breve a deteriorarsi in modo definitivo.
[1] Foto della Miramed
[2] In effetti Travenol aprì uno stabilimento allo scopo sull’isola di Malta.