1970 1972 – Comincia una nuova era – Romania e Bulgaria – Continua Jugoslavia

1970 1972 – Comincia una nuova era – Romania e Bulgaria – Continua Jugoslavia

8 Marzo 2015 0

Torniamo a quel primo viaggio: le visite a Bucarest e Sofia furono brevissime, ma avevano già incapsulate in loro la storia dei nostri successi e insuccessi futuri. La Romania doveva in breve richiudersi a riccio e restare il fanalino di coda della medicina ospedaliera: dopo una prima fornitura al nefrologo capo dell’ospedale Fundeni di Bucarest, il Dott.Barbu,il rapporto si estinse, mentre in Bulgaria c’erano dei medici coraggiosi in un ambiente più liberale che, ovviamente sempre per i motivi sopra menzionati  e con i limiti di situazioni oggettive, diedero impulso a vari settori.

Fu un viaggio avventuroso sul treno notturno da Bucarest a Sofia: io e Gianni Bellini dormivamo a turno per non farci fregare le valigie; fra i passeggeri c’era persino un pastore con una pecora sulle spalle: anche lui teneva ai propri bagagli.

Il prestigioso Hungarian Istitute of Cardiology di Budapest
Il prestigioso Hungarian Istitute of Cardiology di Budapest
Hotel Otani di Sofia
Hotel Otani di Sofia

A Sofia il motore di tutto era la Medicinska Akademia di Sofia: il nostro agente austriaco , Websinger, era anche produttore di apparecchiature per dialisi e aveva avuto mani libere in Bulgaria e nella Serbia meridionale per vendere ed installare due impianti, uno alla sopra citata M.A. di Sofia, il secondo a Nis in Serbia. Gli impianti erano delle brutte copie degli impianti Dasco, che Websinger scopiazzava quando veniva in visita a Mirandola. (1)Il nostro grande amico, il dott. Sdravko Kiriakoff, era a capo del centro di Sofia e lui spostò l’ago della bilancia in nostro favore: c’erano ancora fondi statali per due centri sul Mar Nero, uno a Varna (qui l’equipe medica, capeggiata dal Dott. Nenov, tifava per noi) e uno a Burgas, e l’importatore, Elektroimpex mi convocò nei primi giorni di dicembre del 1971 per firmare il contratto, succulento, di fornitura che comprendeva due impianti chiavi in mano.Corsi all’aeroporto, per trovarmi bloccato da avverse condizioni metereologiche in quel di Swechat: l’aeroporto di Sofia era chiuso per nebbia da quattro giorni. Bene, in tarda serata volai da Vienna a Belgrado, noleggiai un vecchio bidone, e mi feci quattrocento chilometri nella nebbia, in fila tra TIR turchi, e pulmann di emigranti. Arrivai a Sofia alle sei del mattino, stremato. Doccia e colazione energetica , varcai la soglia di Elektroimpex al momento prestabilito: il contratto era nostro.  La Dasco  fece ottimi affari anche grazie alla tenacia del sottoscritto.

Visitare il Dott. Kiriakoff era una esperienza complessa, cioè c’era il tempo del lavoro e dopo le sei di sera cominciava il divertimento, perché lui quando iniziai a bazzicarlo era scapolo e tutti i medici (compreso il simpatico ed “angelico” Antonov), le infermiere e i tecnici (il mellifluo Tersiev) si riversavano a casa sua per mangiare , bere-bere-bere, e ballare fino a tardi (una specie di bunga-bunga ante litteram).

Il suo matrimonio salvò molti dalla cirrosi , e i costumi divennero per tutti più morigerati. Ebbi più tempo per girovagare per la città: gli italiani erano visti di buon occhio e non era difficile fare amicizia camminando lungo le strade del centro.

Ovviamente le ragazze che ti invitavano a chiacchierare in un italiano più che accettabile, mentre centellinavi un caffè turco al bar del Grand Hotel non erano così disinteressate e avevano la ovvia funzione di riportare utili informazioni al “Grande Fratello”, ma la cosa era così evidente che potevi allegramente far finta di non rendertene conto.

Il Grand Hotel rimase per alcuni anni l’unico albergo vivibile nel centro di Sofia, in alternativa al sovietico Hotel Balkan, sprovvisto di ogni confort.

Poi i giapponesi decisero di costruire un Otani Hotel alle pendici del monte Vitosha, e anche questo contribuì a facilitare il viaggiatore straniero , in perenne lotta per una sistemazione alberghiera decorosa. L’hotel era immenso e cupo, pare frequentato dalla mafia turca, e forniva nei due ristoranti di stile occidentale lo stesso cibo standard di tutti gli hotel e ristoranti bulgari collettivizzati: spiedini di carne tiepidi, con contorno di riso e patate fritte gelate, e qualche pomodoro troppo maturo.

I giapponesi , per ingentilire questa specie di funerea cattedrale , avevano anche costruito una palazzina di legno in puro stile del Sol Levante, nel mezzo di un laghetto, in uno dei cortili dell’hotel , e qui avevano sistemato un ristorante giapponese, dove improbabili geishe bulgare (fisicamente sono agli antipodi della donna giapponese, le bulgare così alte e smilze, più saltatrici e gazzelle olimpioniche che batuffoli rotondi e sorridenti) ti accoglievano per un normalmente inesistente pranzo giapponese, data la scarsità e aleatorietà dei rifornimenti alimentari. Un vero giapponese era il cuoco, che aveva frequenti crisi di disperazione.

Negli anni successivi il passaggio di consegne Dasco Bellco (di cui parlerò più avanti) avvenne senza colpo ferire: la nostra supremazia in quel paese durò per anni. Oltre all’indiscussa leadership di Kiriakoff, mi piace anche ricordare la amabilità e ospitalità del dott. Bakardjeff,  responsabile del secondo centro dialisi cittadino, all’ospedale Pirogoff di Sofia, altro grande supporter dei nostri prodotti.

Io mi recavo in Bulgaria in auto nei mesi più clementi, e in aereo negli orripilanti mesi invernali. E’ nei Balcani che ho iniziato ad odiare la neve, così diversa dalla neve della pianura padana.

Come accadeva ovunque oltrecortina, c’era un grande stridore tra le conoscenze personali, il livello amichevole dei rapporti umani con tutte le persone con cui entravo in contatto  da un lato, e le condizioni generali, il livello di vita di quei paesi. In Bulgaria la polizia aveva il pugno duro, il paese era intimorito e mancava quasi totalmente di ogni confort, e la Jugoslavia di allora in confronto poteva essere scambiata per la Svizzera. Quando andavo a Sofia in auto, rientrare e rifugiarmi in Jugoslavia al ritorno mi dava grande sollievo.

Gianni Bellini tenne ancora i contatti con la Jugoslavia per qualche mese e fece anche un primo viaggio esplorativo in Polonia, Cecoslovacchia e Unione Sovietica (sempre sfruttando la rete Sandoz), e io alternai la mia prima attività , in Europa Occidentale, con  un paio di viaggi in Ungheria dove cominciai a conoscere gente e a promuovere prima la cardiochirurgia e poi la dialisi, fra la “finta incredulità” dei  chirurghi nostri clienti potenziali che non faticavano a immaginare questo connubio commerciale tra est e ovest.

Ricordo un colloquio memorabile con il decano dei cardiochirurghi  ungheresi, il Prof. Petri, di Szeged, il quale continuava a scuotere il capo, mormorando “a hundred-dollar oxygenator, impossible..”e poi aggiunse “ ma se dovremo rifornirci di questi dispositivi, lo faremo importando prima di tutto prodotti dai paesi dell’Europa Orientale!” Quel giorno ero accompagnato dal suo assistente, il simpatico Dott. Kovacs, il quale mi strizzò l’occhio: il messaggio era chiarissimo : il professore stava recitando una parte.

In settembre 1971 feci un altro viaggio in Jugoslavia, con una auto di seconda mano fornitami dalla  Dasco e un incarico assolutamente assurdo , che  avrei dovuto rifiutare, se non fossi stato così assolutamente digiuno in materie doganali : portare al di là della frontiera, al centro dialisi di Lubiana, una voluminosa pompa , senza uno straccio di un documento valido per l’esportazione. Esperienza allucinante: contact man, il Dott. Vittorio Porta, direttore della dogana di Gorizia: lui certo mi fece passare senza problemi, era nostro amico d’infanzia, e aveva anche lavorato in Dasco per un brevissimo periodo (era rimasto famoso per il tenore delle lettere che lui inviava ai clienti in risposta alle loro lamentele: un urologo belga ne era rimasto così impressionato da telefonare in Dasco per conoscere Porta personalmente). Ahimè: gli sloveni furono completamente sordi alle mie richieste.

Ritorno precipitoso alla dogana di Gorizia italiana e reperimento di una gentilissima trattora nelle vicinanze che fu d’accordo di ospitare la mia pompa fino al mio ritorno in Italia.

A Lubiana mi incontrai con la “new entry”, il buon Mikulicic, il cognato del responsabile del centro dialisi di Fiume,  Dott.Zec,  che era stato assunto dalla Dasco per farci da tecnico di assistenza in tutta la Jugoslavia e che per questo andò in contro a tutte le possibili angherie e disavventure doganali , sia per gli attrezzi di lavoro che per i pezzi di ricambio che portava con sé. Lui fu  utile a tenere i contatti coi centri, che intanto crescevano di numero. Da buon fiumano, la Jugoslavia era per lui un pianeta sconosciuto, quasi quanto  o forse più che per me, e in effetti essa, fuori dal circuito tradizionale, Lubiana, Zagabria, Belgrado, era veramente un mondo spesso primitivo e ostile.

Sulla strada per Sarajevo i pastorelli bosniaci ci tiravano pietrate, gli adulti ci minacciavano agitando il pugno.

Arrivammo fino a Skopje in un viaggio che durò due settimane, e a Skopje passammo un fine settimana non male, con profumati spiedini, grappa, musica .

Mikulicic divenne un volto familiare anche a Mirandola, dove passava periodi necessari al suo aggiornamento tecnico.Scapolo, alloggiava all’albergo Aquila Nera, ed era corteggiato da due nubili della Dasco,  che con le loro Fiat 500 facevano la ronda davanti all’albergo, per poterlo accalappiare: cosa non facile dato che il gigante fiumano solo a fatica poteva essere accomodato all’interno di una delle due minuscole automobili .

La più intraprendente delle due, stanca di tergiversare, una sera decise di osare l’inosabile, schivò la portineria, salì  le scale fino alla porta della stanza di Mikulicic e bussò. Lui , preso alla sprovvista, non sapendo che fare per ricusare il pressante invito , si riempì la testa di shampoo e la buttò sotto il rubinetto, presentandosi in questo stato schiumoso agli occhi della allibita spasimante, che dovette desistere.

(1) Websinger era un ex ufficiale pilota della Luftwaffe, commendatore (Kommerzialrat) ed era sempre accompagnato dal suo ex attendente, Herr Nisch. Quando venivano a Mirandola portavano una fisarmonica e nelle ore dopo il lavoro amavano bere vino locale, mangiare specialità mirandolesi e rilassarsi musicalmente magari davanti ad un ospitale camino. Il genero di Websinger divenne per un certo periodo agente della Bellco per l’Austria.