Giovanni Pico – La Sorbona, pista di lancio
Ai tempi di Pico, frequentare Università come quelle di Padova, di Bologna, di Ferrara, era farsi delle buone ossa culturali, ma per “sfondare’’ ci volevano Parigi e la Sorbona. E Pico non perse tempo.
Vi arrivò nel 1485, a 22 anni, preceduto non da una fama culturale, che allora non poteva ancora essersi diffusa, ma da una notorietà mondana: era il principe di un piccolo Stato italiano, un genietto, ricco, anche bello. A Parigi aveva inoltre amici autorevoli fra cui i fratelli Ganay, uno dei quali era il Cancelliere della Sorbona, di quella Università che in quel tempo era considerata la capitale della cultura teologica.
La Sorbona ha una storia singolare. La fondò Roberto de Sorbon intorno al 1257, nel Quartiere Latino, sulla riva sinistra della Senna. Lui era canonico,modesto filosofo e teologo, ma grande organizzatore culturale con lo spirito di benefattore. E aveva alle spalle un grande “sponsor”, Re Luigi IX, in persona, che poi divenne San Luigi.
Tornato dalle Crociate nel 1254, questo Re si diede, forse per espiazione, a opere pie, e Roberto de Sorbon gli suggerì di concorrere a fondare un’importante università per studenti laici in modo che la teologia non fosse monopolizzata, com’era, dai domenicani e dai francescani. I primi studenti, ospitati e mantenuti gratuitamente, furono all’inizio venti, ma salirono di numero via via che l’iniziativa si affermò. La strada in cui l’Università sorse era denominata Rue Coupe-Guelle (via dei tagliagola), nome disdicevole a cui fu sostituito presto quello del suo fondatore che si estese anche all’Università: rue de la Sorbonne – la Sorbonne.
Più che un’Università, la Sorbona fu un istituto – si direbbe oggi – di specializzazione teologica post-universitaria e internazionale caratterizzato da grande libertà, dove gli studenti – si chiamavano “socii” – potevano restare molti anni, anche perché per ottenere il titolo di dottore ce ne volevano ben dieci.
I “Sorboniani” divennero così una vera comunità che doveva osservare un ordine rigoroso: tutti in refettorio all’ora dei pasti, partecipazione alle funzioni religiose, proibizione di uscire oltre una certa ora, esclusione delle donne anche come visitatrici, multe per le infrazioni. I “socii” potevano però avere un servizio privato e scegliersi gli insegnanti che preferivano. Nel 1290 la biblioteca disponeva già di 1017 volumi che, per allora, era un’immensità.
Giovanni Pico frequentò la Sorbona per un anno come ospite. Ma dire frequentò è poco. Si buttò a capofitto in quelle dispute, definite “atti sorbonici”, che si tenevano ogni venerdì, dal sorgere al tramontare del sole, senza pause, senza mangiare e senza bere. Un relatore illustrava l’argomento che poi si doveva sostenere contro molti oppositori. Lo zio scriveva al nipote: “Giovano i dibattiti che si svolgono con animo sereno, con famigliarità e a quattr’occhi, lontano da spettatori, mentre nuocciono, quelli che avvengono in pubblico per far mostra di dottrina, per accattarsi il favore dei presenti e l’applauso degli ignoranti”. Ben detto, e sarebbe opportuno ripeterlo oggi agli organizzatori di certi dibattiti televisivi.
Dopo un anno circa di quel tirocinio, la fama di Pico si consolidò e gli suggerì di importare in Italia la formula sorboniana dei grandi dibattiti. Ma Roma non era Parigi.
Tratto da: Quei due Pico della Mirandola – Giovanni e Gianfrancesco
Autore: Jader Jacobelli
Editore : Laterza
Anno – 1993