Giovanni Pico – Il “Discorso della dignità dell’uomo”
Il Discorso della dignità dell’uomo
Fu il discorso, o meglio l’“Oratio” perché è scritto in latino, che Pico avrebbe dovuto pronunciare aprendo quel convegno di teologi-filosofi da lui promosso, e perfino sponsorizzato, che si sarebbe dovuto tenere a Roma nel 1486 al cospetto del Papa.
Giovanni aveva allora appena 23 anni, e questa singolare iniziativa, che sapeva un po’ di sfida, doveva fare il punto sul sapere teologico-filosofico del suo tempo. Sarebbe stato una specie di concilio “laico” per discutere le novecento Tesi (in latino “Conclusiones”) in cui Pico aveva condensato tutto ciò che lui aveva appreso in materia e proponeva, grazie alla discreta conoscenza di quelle lingue, il greco, l’ebraico, l’arabo, che gli avevano aperto la porta di altre grandi culture. Ma quel discorso non fu mai pronunciato e quel convegno non si svolse mai. Manoscritti non ne sono rimasti. Un testo di un anonimo copista, che si fa risalire ai primi anni del 1500, e che dovrebbe essere tratto da una prima stesura dell’“Oratio”, lo scoprì Eugenio Garin, prefatore di questo volume, in un codice della Biblioteca nazionale di Firenze, e lo tradusse con rigore filosofico. I brani che presentiamo sparsi nelle pagine di questo volume sono, invece, tradotti più liberamente da noi per renderne più agevole e comprensibile la lettura a tutti.
Si può dire che sia stato quel Discorso a dare a Pico fama imperitura, anche se tale fama si consolidò soltanto alla metà del secolo scorso. L’“Oratio de hominis dignitate” (Discorso sulla dignità dell’uomo) è uno dei testi più noti del pensiero rinascimentale. Il grande storico tedesco Jacob Burckhardt lo definisce “uno dei lasciti più preziosi di quell’epoca tanto colta”. Per il filosofo tedesco Ernst Cassirer “esso riassume nel modo più semplice, pregnante e completo quello che il Rinascimento volle, e il concetto che esso si fece del conoscere”. Garin ha scritto che quel discorso “è veramente il manifesto del Rinascimento”. E ha aggiunto: “Certo, non tutti vi lessero le stesse cose, ma le lessero Erasmo come Tommaso Moro, e ne trassero ispirazione poeti metafisici inglesi e filosofi romantici tedeschi”. Per Oscar Kristeller, studioso del nostro Umanesimo, “è lo sviluppo sistematico di un’idea vaga che per generazioni ha assillato il pensiero umanistico”. Frances Avery Yates, la più autorevole studiosa degli aspetti ermetici del Rinascimento, l’ha definito: “Una sorta di Magna Charta della magia rinascimentale’’. Lo storico dell’arte francese André Chastel lo ritiene “il luogo più celebre di tutta l’antropologia del Rinascimento’’.
Ma c’è anche stato chi ha svalutato l’“Oratio”. “La dignità di Pico – ha infatti scritto lo storico russo Matteo Gukovskij – è quella di liberarsi dei legami di una terra perversa e peccatrice per elevarsi a Dio. Se quell’orazione ha proprio da essere un manifesto è il manifesto di un idealismo aristocratico e reazionario”. Ma quando Gukovskij espresse questo giudizio il Muro di Berlino non era ancora crollato.
Un giovane studioso, Giuseppe Tognon, ha recentemente dato di Pico il seguente espressivo giudizio: “Del Rinascimento l’uomo della Oratio è la rappresentazione emblematica (…). Esso anticipa il mito dell’epoca moderna come epoca di decisioni. L’uomo Pico, invece, mostra del Rinascimento le molte scelte fatte, le molte sofferenze, e dell’epoca moderna anticipa così le disillusioni. Nello studio egli pensa da greco, nella morale vive da ebreo, nella storia ha il tratto del moderno, di chi intuisce che il tempo non è inesauribile, che nessuna esperienza va dispersa, ma anche che nessuna è decisiva”.
Nel prossimo capitolo “Le Tesi incriminate”
Tratto da : Quei due Pico della Mirandola – Giovanni e Gianfrancesco.
Autore : Jader Jacobelli
Editore Laterza
Anno : 1993
L’immagine: Busto di Pico della Mirandola attribuito ad Andrea del Verrocchio ed oggi conservato al-Museo delle belle arti di Boston.
Ubaldo Chiarotti
Grazie Fabrizio per questa pubblicazione, se puoi passa il testo
7 Giugno 2019anche agli organizzatori del Festival della Filosofia di Modena, Sassuolo e Carpi, può darsi che dalle nostre valli basse pur essendo trascorsi oltre cinquecento anni, la notizia non sia ancora giunta……!