Una Pico tutta d’un pezzo
Si dice, giustamente, che i genitori non dovrebbero sopravvivere ai figli. Ciò è doppiamente vero per Alessandro II Pico che si vede morire nel 1689 il figlio ed erede Francesco Maria. Innanzitutto c’è il dolore per la perdita di un figlio e poi, cosa di non poco conto, la perdita dell’erede diretto; ciò crea non pochi problemi e pone fine, come vedremo, all’epoca d’oro della Mirandola.
Quando anche Alessandro abbandona questa valle di lacrime, lascia un testamento molto chiaro e circostanziato. Francesco Maria, il nipote ancora infante, viene designato alla successione e Brigida, la propria sorella, come reggente. Nel caso Brigida fosse venuta a mancare l’avrebbe sostituita Maria Isabella, la figlia primogenita, quella del matrimonio mancato, ricordate? Gli altri figli di Alessandro II, Galeotto, Giovanni e Lodovico, non si trovano d’accordo con le decisioni paterne (chi l’avrev mai ditt?). Nel particolare contestano a Brigida gli scarsi, a parer loro, appannaggi assegnatigli, ma non ultimo la legittimità della successione. Decidono così di fare ricorso all’imperatore spaventando di brutto Brigida.
La paura, si sa, è cattiva consigliera e la reggente, consigliata malissimo dai suoi ministri, si lascia prendere la mano. Accusa, falsamente, i tre fratelli di aver attentato alla vita del futuro duca tentando di avvelenarlo. Mentre a Milano viene istituito un processo contro i fratelli Pico, alla Mirandola Brigida getta nelle segrete del castello i mirandolesi che parteggiano per la parte avversa accusandoli di complicità nell’immaginario delitto e sottoponendoli “… a tali orridezze, che hanno ben pochi esempi nelle storie.”.
A questo punto della storia si affaccia Maria Isabella che si dichiara contrariata e dolente per questi litigi. Tenta un accordo con i fratelli e li incontra per due volte nella canonica della vicina Camurana tra il 5 ed il 7 gennaio del 1693. In ambedue i casi la sua mediazione fallisce. Il tempo passa, la situazione si fa pesante e gli occhi dell’Europa sono puntati sul piccolo stato. L’imperatore, un po’ scocciato, minaccia di mandare un reparto di soldati a presidiare la Mirandola. Brigida va nel pallone, ha paura che il sovrano voglia toglierle il ducato, così decide di scappare. Alle 10 del mattino del 18 settembre del 1696, con una buona scorta di carabinieri ed accompagnata dal conte Giovanni Maffei e dal podestà Musati, parte alla volta di Venezia dove si rifugia.
Alla Mirandola rimane Maria Isabella che prende le redini in mano. Per prima cosa licenzia i consiglieri di Brigida e poi, par an saver né lezzar né scrivar, fa arrestare alcuni cittadini in vista, senza alcuna apparente ragione, per poi rimetterli in libertà senza spiegazioni; intanto ha fatto vedere con chi hanno a che fare.
Il 27 ottobre le arriva la notizia che Galeotto e Giovanni, Lodovico nel frattempo ci ha dato su, hanno intenzione di venire alla Mirandola. Maria Isabella corre ai ripari. Ordina di portare sulle mura della città l’artiglieria, di costruire nuove fortificazioni e fa munire di spingarde la torre della Maddalena che guarda la porta. Per non allarmare la popolazione mette in giro la voce che ci si appresta a festeggiare una vittoria degli imperiali. Il 30 ed il giorno appresso ispeziona personalmente le difese circondata da un nugolo di uomini in arme e vuole che si provino alcuni cannoni. Il 2 novembre arriva a Concordia il principe Giovanni accompagnato da un seguito di gentiluomini che sostengono la sua causa. Nel paese vi sono parecchi mirandolesi intervenuti alla locale fiera e all’arrivo del principe solo pochi riescono a fuggire riparando alla Mirandola; chi resta si vede costretto a dichiararsi a favore di Giovanni. Appena la notizia giunge a Maria Isabella, questa rimette in servizio, per propria scorta, i carabinieri licenziati da Brigida ed il mattino del giorno dopo esce dal castello in portantina circondata da carabinieri e gentiluomini in armi. Lei indossa un lungo mantello col cappuccio, la parrucca ed il cappello, è inoltre armata di archibugio e quattro pistole, due sulla sedia e due alla cintura. Essendo sabato, giorno di mercato, la piazza è gremita di mirandolesi. La principessa, pallida in volto ma con un espressione fiammeggiante, si alza in piedi sulla portantina e, agitando al cielo due pistole, urla: “All’armi, all’armi, è arrivato il momento di sostenere il nostro duca Francesco Maria, causa a cui io stessa sono pronta a versare tutto il mio sangue. Chi non ha armi si rechi all’armeria del castello e ne verrà fornito.” L’accorato appello produce l’effetto sperato; i bottegai e gli artigiani chiudono le botteghe e assieme agli altri cittadini ed ai contadini delle campagne corrono a munirsi di armi per dare sostegno alla loro principessa che nei giorni seguenti, mattina e sera, ispeziona le mura accompagnata dal grido incessante “Viva il duca Francesco Maria.” Nel frattempo, il 3 novembre, arriva a Concordia anche Galeotto che inizia subito a cercare di radunare più gente possibile.
Il duca di Modena, preoccupato per la situazione ai suoi confini, manda un suo emissario, accompagnato da un altro spedito dal governatore di Milano, alla Concordia per vedere se v’è modo di appianare le cose. Le trattative si protraggono per alcuni giorni, ma i Pico sono irremovibili: accettano il duca Francesco Maria, ma pretendono per sé la reggenza. Il 13 novembre duecento soldati in armi escono dalla Mirandola e vanno ad affiggere, alle porte delle chiese di S. Giacomo, di Cividale e di S. Giustina, un editto in cui si “chiede” ai sudditi di riconoscere Francesco Maria come duca e Brigida come reggente. Colui che “dopo un attimo di sbandamento” si fosse sottomesso avrebbe ricevuto un completo perdono. A Concordia si sparge la voce che soldati della Mirandola, armati di cannone, sono usciti dalla città e si dirigono a Concordia. Giovanni subito sale a cavallo e, seguito da duemila suoi fanti e cavalieri, va loro incontro. La notizia si rivela però una bufala e torna mesto indietro. A dargli manforte giunge da Verona il conte Spolverini che porta con sé torme di masnadieri. Questi, nonostante l’assoluto divieto, iniziano a depredare la campagna e svaligiare le case di gentiluomini e cittadini, e senza nemmeno accertarsi se fossero alleati o no.
Per mettere fine a tutto ciò, i principi inviano la sera del 14 un loro emissario per trattare con la principessa. Finalmente si arriva ad un accordo: i due fratelli depongono le armi e tornano a Milano, in cambio Maria Isabella s’impegna a perdonare i mirandolesi che li hanno sostenuti. Il 21 i mirandolesi pentiti si presentano sotto le mura della Mirandola. Dopo averli fatti aspettare per ore al freddo, li riceve, sotto la vigile scorta di numerosi moschettieri, nella Sala Grande del castello. Si presenta loro da vera dominatrice, in posizione elevata su di un seggiolone poggiato su di uno strato di damasco rosso e circondata da gentiluomini in arme. Dopo aver ascoltato le loro suppliche e la preghiera del perdono, ella benignamente lo accorda e, dopo averli fatti giurare solennemente sulla loro fedeltà futura, promette che “ … sarebbe stata loro signora e madre amorosa.”, ed infine li congeda lasciandoli tornare alle loro case.
Rimesse a posto le cose, il giorno 24 arrivano alla Mirandola le truppe spagnole mandate dal governatore di Milano per proteggere la reggente e il duca … alla buon’ora. La sera del 10 dicembre Maria Isabella licenzia le milizie popolari e ordina che tutti depongano le armi perché le cose sono ormai aggiustate. Il 31 di gennaio il duca Francesco Maria e la reggente Brigida Pico tornano alla Mirandola accolti dalla popolazione in festa.
Maria Isabella cede a loro il comando e ritorna modestamente al suo ruolo di corte. Negli anni seguenti si prodiga con successo per riconciliare i fratelli ed il duca. Con la caduta del ducato della Mirandola, si ritira a Bologna dove si spegne serenamente tra le ore 4,00 e le 5,00 il 23 marzo del 1732.
E i tre principi Pico? Il processo termina il 27 aprile del 1697 con la piena assoluzione. Lodovico intraprende la carriera ecclesiastica, si trasferisce a Roma e diventa cardinale. Lì muore il 9 agosto del 1743. Galeotto è il primo a riconciliarsi con Francesco Maria e, dopo la perdita del ducato, lo sosterrà con tutte le forze. Viene a mancare il 21 febbraio del 1730 a Castel S. Pietro di Bologna. Giovanni, anche lui perdonato dal duca, si spegne a causa di una polmonite, a Bologna, il 21 dicembre 1710.
Un vero peccato che il ducato sia poi finito in quel modo, chissà quante ne avremmo viste ancora … con na famia acsè.
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola.
Volumi IV – XVIII – XIX – XX.