Papa Giulio II visita la Mirandola.
Papa Giulio II visita la Mirandola.
Per una piccola cittadina come la Mirandola ricevere la visita di ben due papi, nell’arco di 500 anni, è senz’altro motivo di orgoglio.
Certo, papa Francesco è venuto a portarci solidarietà e conforto a causa del terremoto, mentre Giulio II si è fatto accompagnare da un esercito portandosi appresso i cannoni per bombardarci, quindi due occasioni di cui avremmo fatto volentieri a meno; va però precisato che Giulio II non ce l’aveva con i mirandolesi bensì con i francesi che presidiavano la città fortezza. Al termine dell’assedio, infatti, rimise al suo posto Gianrancesco II Pico, il legittimo Signore della Mirandola. Ma andiamo con ordine.
A cavallo del 1500 la Repubblica di Venezia ha mire espansionistiche verso la terraferma italiana e papa Giulio II se ne preoccupa, anche perchè Venezia ha messo gli occhi sul ducato di Ferrara, già preso di mira dallo stesso pontefice. Nasce così la lega di Cambrai ed i francesi scendono in Italia per dar manforte al papa. Lo aiutano con tanto entusiasmo che Giulio li giudica troppo invadenti; coniuga così uno slogan: “Fuori i barbari dall’Italia!” e sotto questa bandiera si allea con i veneziani e gli spagnoli per cacciare i francesi di Luigi XII.
Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, non intende venir meno alla parola data alla Francia, così Giulio decide di occupare Ferrara.
In mezzo a tutto questo sta la Mirandola governata da Francesca Trivulzio, reggente per conto del figlio infante Galeotto II e alleata dei francesi; daltronde non potrebbe essere altrimenti visto che il padre naturale, Gian Giacomo Trivulzio, è uno dei più importanti generali dell’esercito francese. Inoltre le truppe transalpine che presidiano la cittàfortezza sono guidate da Alessandro Trivulzio, nipote del generale, che ha a disposizione circa 400 soldati. Questa la situazione generale.
Per quanto riguarda la situazione specifica della Mirandola, essa non è sul momento particolarmente difficile. Il papa infatti non intende inizialmente attaccarla, ma ci pensa la situazione interna alla famiglia Pico a fargli cambiare idea. Ludovico I Pico ha strappato con la forza il feudo al legittimo erede Gianfrancesco II, poi è morto combattendo per il papa contro i veneziani. Francesca Trivulzio, vedova di Ludovico, si è affrettata a regolarizzare la posizione del figlio Galeotto di un anno chiedendone, e ottenendola, l’investitura del feudo da parte dell’imperatore e la reggenza per sé. Gianfrancesco però non si arrende e così trova un appoggio nel papa. Chiede al cugino Alberto Pio di Carpi, che è consigliere personale del pontefice, di mettere una buona parola. Giulio II si dimostra bendisposto, ma in questo momento è totalmente preso dalla guerra. Ha appena conquistato Modena e Bologna ed ora volge lo sguardo verso Ferrara. Alberto allora insinua un dubbio verso la strategia adottata dai generali papalini:” La Mirandola è una fortezza in una posizione strategica importante e con un consistente esercito francese; se ce la lasciamo integra alle spalle potrebbe facilmente creare seri problemi alle vie di rifornimento del nostro esercito.” Giulio si lascia convincere e nel dicembre del 1510 decide di conquistare la città-fortezza prima dell’attacco a Ferrara e di restituire il feudo a Gianfrancesco coprendosi così le spalle con un alleato. Alla Mirandola si apprende della decisione del papa e si cerca di correre ai ripari.
Francesca ed Alessandro chiedono aiuto al padre di lei; il generale Gian Giacomo Trivulzio ordina immediatamente a Carlo II d’Amboise Signore di Chaumont, che comanda il grosso delle truppe francesi in Italia e si trova a Mantova, di mandare un esercito in soccorso della Mirandola. Ma Chaumont ha un problema; il generale gli è antipatico e di riflesso non vede di buon occhio nemmeno i suoi familiari. Naturalmente risponde “signorsì” e, per mostrare le proprie buone intenzioni, invia subito un contingente di 100 soldati e 2 cannoni, dopodichè inizia quelli che dovrebbero essere i preparativi per la partenza di un vero esercito e promette che entro il 20 di gennaio sarà alla Mirandola.
Le cose procedono però a rilento, troppo:” La guerra – si giustifica – ha prodotto parecchi danni alle campagne del nord-Italia, e accumulare le scorte ed i rifornimenti necessari ad un esercito è problematico.” Aggiunge inoltre che quando si riesce a trovare qualcosa i prezzi sono esorbitanti e le casse dell’esercito piangono miseria. Decide così di recarsi a Milano con la scusa di batter cassa, ma, udite udite, nella capitale lombarda vive anche la sua amante e i pettegolezzi dell’epoca affermano che, più che chieder denaro, chiedesse i favori della sua concubina mandando, per così dire, a puttane ogni promessa di aiuto alla Mirandola. Nel frattempo, a metà dicembre 1510, Giulio II invia il suo esercito ad assediare la Mirandola. La prima mossa è occupare la Concordia, cosa che avviene facilmente il 19 con la perdita di un solo soldato fra gli attaccanti e di sei fra i difensori, poi iniziano i lavori di costruzione delle trincee e dei terrapieni per i cannoni attorno alla città-fortezza.
Ma quell’inverno è particolarmente gelido; le abbondanti nevicate, in campagna si sono formati cumuli di neve alti fino a due metri, intralciano pesantemente i movimenti delle truppe e la temperatura è scesa abbondantemente sottozero facendo seccare le vigne, congelando la linfa degli alberi provocandone l’esplosione dei rami e facendo diventare duro come la roccia il terreno. Solo dopo quattro giorni di duro lavoro i primi cannoni entrano in azione, ma sono stati posizionati troppo lontano e la loro efficacia è limitata. Il papa, che è costantemente informato della situazione s’incazza di brutto e, nonostante sia reduce da una brutta malattia che ne ha minato le forze e debilitato il fisico, decide di scendere in campo e dirigere le operazioni militari personalmente, scandalizzando in questo modo tutto il mondo della cristianità; non si era mai visto un pontefice guidare personalmente un esercito in battaglia, e questo gli vale l’appellativo di “papa guerriero”. Parte da Bologna il 2 gennaio 1511 con al seguito tre cardinali e la scorta di un centinaio di guardie, ma una brutta sorpresa l’attende sul cammino. Arrivato a S. Felice decide di pernottarvi per riprendere le forze e ripartire il giorno dopo, ma le spie francesi sono all’opera. Nel campo del duca di Ferrara, presso il Po, è di stanza un famoso capitano francese, soldato valoroso e molto amato dai propri soldati, a cui per primo verrà attribuito l’appellativo di “cavaliere senza macchia e senza paura”, Pierre Terrail signore di Bayard, italianizzato in Baiardo. I suoi informatori gli fanno pervenire, per filo e per segno, i piani di viaggio del papa. C’è tutto, l’ora della partenza da S. felice, la composizione del convoglio e della scorta, persino la posizione precisa occupata dalla carrozza del papa; viene indicata anche la posizione di alcune case abbandonate, nei pressi della strada e poco lontano dalla cittadina, perfette per nascondersi e tendere un agguato.
Baiardo non perde tempo; dopo qualche reticenza dovuta alla propria fede cristiana, Alfonso d’Este cede alle insistenze del capitano francese e gli concede cento cavalieri. Baiardo cavalca tutta la notte e raggiunge il luogo dell’agguato. Il mattino dopo, puntuale come un orologio svizzero, arriva il convoglio papale. Baiardo ed i suoi cavalieri partono all’attacco e presto hanno ragione della scorta e catturano il convoglio, ma la delusione è grande, non c’è la carrozza del papa. Delusi, i francesi si ritirano e tornano al campo base con le pive nel sacco; si vocifera che durante il ritorno, il silenzio tombale fosse rotto, di tanto in tanto, da una voce che ripeteva:” Merde!” Era successo che Giulio non aveva sentito la sveglia e si era alzato tardi, dando comunque ordine al convoglio di partire come già deciso che lui lo avrebbe seguito più tardi, e così fu. Il papa partì poco dopo, ma non fece molta strada. Superstiti dell’agguato francese arrivarono al galoppo urlando frasi concitate sull’attacco subito. Giulio capì che i soldati francesi stavano arrivando e temendo che la carrozza, ostacolata dalla neve e dalla stretta strada di campagna, non avrebbe fatto in tempo a fare dietrofront, saltò giù, seguito a ruota dai tre cardinali, e, afferrando i lembi della sottana, si mise a correre come un giovanotto verso la porta di s. Felice ancora aperta e raggiuntala, nonostante il fiatone, che si condensava in nuvole di vapore nell’aria gelida del mattino, urlando a squarciagola:” Arrivano i francesi!” trovò le forze per dare una mano ai soldati di guardia a chiudere il pesante portone. Nel pomeriggio, ripresosi dallo spavento e ringraziato Dio per lo sventato pericolo e assicuratosi che i francesi se ne fossero andati, ripartì e raggiunse la Mirandola prendendo alloggio a nord della città, precisamente nel monastero di Santa Giustina dei frati Coreggioni dell’ordine di S. Agostino. Quando Francesca Trivulzio ebbe notizia dell’arrivo dell’esercito papalino ordinò di effettuare i preparativi per resistere all’assedio. Richiamò in città i contadini dei dintorni, fece abbattere il ponte che permetteva l’attraversamento del fossato e fece bloccare la porta con travi di legno, massi e terra pressata. E’ proprio in questo periodo che avviene qualcosa di meraviglioso e che regalerà ai palati sopraffini di tutto il mondo una perla rara della cucina. In dicembre, tra le altre cose, è tempo di “pcarìa”, la macellazione del maiale. Lasciare le bestie alla mercè del nemico è impensabile, quindi si portano in città e qui si procede alla macellazione. Ma c’è un problema: come conservare la carne? Il freddo eccezionale della stagione aiuta, ma non basta, ecco allora venire in soccorso un colpo di genio, nel vero senso della parola, di un oscuro ed anonimo cuoco di corte. Egli fa svuotare completamente le zampe anteriori dei maiali, le fa riempire con la carne macinata e le fa ricucire permettendone così la lunga conservazione. E’ nato lo zampone, una prelibatezza che tutto il mondo ci invidia … compresi i quarantolesi. Ciapa su e porta a cà !!! Ma torniamo alle questioni prettamente militari. Una volta giunto alla Mirandola, il papa si rende conto che le sue informazioni sono esatte; i lavori procedono a rilento ed il cannoneggiamento è fiacco e poco redditizio. Raduna i comandanti e, dopo averli presi a male parole, toglie il comando al duca d’Urbino, suo nipote, e richiamato Fabrizio Colonna, il suo generale preferito che aveva lasciato a Modena, gli affida l’incarico, dopodichè indossa l’armatura, sale su di un destriero e brandendo una spada cavalca fra i soldati incitandoli a dare il meglio di sé e promettendo loro due giorni di saccheggio una volta entrati in città. Le cose cambiano immediatamente, i cannoni vengono portati ad una distanza dalle mura più utile, le bordate si infittiscono ed appaiono finalmente i primi segni di cedimento delle stesse. Ma anche in città non stanno con le mani in mano; mentre attendono l’arrivo dei rinforzi promessi, rispondono colpo su colpo, specialmente con i cannoni posizionati sul mastio, vero punto di forza della difesa, che grazie all’altezza da cui tirano hanno una gittata più lunga. E proprio uno di questi colpi per poco non volge la situazione a favore dei difensori. Il monastero e la chiesa di s. Giustina a quel tempo sono posizionati molto più vicino alla città di quanto non lo sia oggi la chiesa omonima; la cronaca dell’epoca non c’informa della esatta distanza, semplicemente la descrive come “a due tiri di balestra”, ad occhio e croce circa 3/400 metri. Un giorno, durante uno dei tanti bombardamenti effettuati dai difensori per cercare di mettere a tacere i cannoni avversari, una palla di ferro colpisce il monastero, sfonda il tetto e cade nella sala mensa dove uccide due servi del seguito del papa, e Giulio si trovava in quel momento nella stanza accanto … quando si dice il destino! ( Per la verità esiste dell’evento un’altra versione. La palla avrebbe sfondato il tetto della chiesa uccidendo un palafreniere del pontefice e arrestando la sua corsa a pochi metri dal papa.) La palla finirà come ex voto nel santuario di Loreto, il monastero e la chiesa invece furono abbattuti da Gianfrancesco su “consiglio” del papa. Anni dopo la sola chiesa venne ricostruita nel luogo ove si trova ora. Siamo ormai oltre la metà di gennaio e le cose precipitano. All’interno della Mirandola, Francesca ed Alessandro hanno ormai capito che i rinforzi promessi non arriveranno mai. Più che la fame ciò che li spinge a prendere una decisione è il freddo. Legna da ardere per riscaldarsi e cuocere il cibo non se ne trova più da un pezzo e le famiglie più povere hanno ormai bruciato anche i pochi mobili delle loro misere abitazioni. Inoltre l’acqua del fossato si è ghiacciata e nonostante gli sforzi dei soldati che si affannano a gettare enormi pietre e massi dalle mura per rompere il ghiaccio, questi si ripristina in breve tempo rendendo inutili tutti gli sforzi. A sud della città, sotto gl’incessanti bombardamenti, le mura hanno iniziato a cedere e una grossa breccia si è aperta circa all’altezza dell’odierna via Roma; il cedimento non arriva fino al livello del suolo, ma grazie al ghiaccio spesso, che sopporta senza rischio di rottura il peso dei soldati con l’armatura, è solo questione di tempo che un assalto nemico riesca a superare le mura. Francesca ed Alessandro, il 20 di gennaio, lo stesso giorno in cui il Chaumont avrebbe dovuto giungere con i soccorsi, mandano un emissario dal papa per concordare una resa onorevole; le condizioni principali sono due, un salvacondotto per entrambi ed i nobili francesi presenti e la promessa che non ci sia saccheggio. Giulio II accetterebbe anche subito, ma ha promesso ai suoi soldati il saccheggio in cambio dei loro sacrifici. Dopo aver meditato ed elevata a Dio una preghiera per essere illuminato, e pressato dalla fretta di andare a Ferrara, decide di accettare le condizioni. Convoca i comandanti delle unità ed ordina loro di informare i soldati che non ci dovrà essere nessun saccheggio, ma che riceveranno una consistente somma di denaro come indennizzo. Ora si tratta di entrare in città. Per liberare la porta dagli impedimenti occorrerebbero almeno due giorni di lavoro, così decide di entrare dalla breccia a sud. Fa posizionare una scala e vi sale seguito dal suo sèguito; al di là delle mura trova ad attenderlo Francesca, Alessandro e i notabili della città. Mentre i pezzi grossi si scambiano i convenevoli di rito, alcuni soldati, contravvenendo agli ordini del pontefice, saccheggiano il monastero delle suore di S. Ludovico, dove, per inciso, vi avevano nascosto i propri beni alcuni cittadini facoltosi. La vicenda si conclude com’era facile da prevedersi. Francesca, Alessandro ed i nobili francesi vengono forniti di carrozze, una scorta e accompagnati a Correggio che è in mani francesi. A Gianfrancesco II Pico, che ha partecipato direttamente all’assedio, seppure con un ruolo di secondo piano, viene restituito il feudo, ma gli vengono addebitate le spese della campagna militare ammontanti a 20.000 ducati d’oro, una bella cifra che però, così pare, il Pico non pagherà per intero (Equitalia era di là da venire). E Giulio II non riesce a prendere Ferrara che nel frattempo ha rinforzato le proprie difese. Và mo a far di piaser ai amigh ! Nota dell’autore: I miei lettori più attenti ricorderanno certamente che ho già scritto un breve articolo sull’assedio della Mirandola da parte del papa Giulio II, “L’assedio di papa Giulio II ? … una favola!”. Esso è però uno dei primi miei scritti che ancora scrivevo per scherzo e risulta troppo condensato e quasi irriverente. Poi Al Barnardon mi ha spinto a scrivere con un minimo di serietà e così ho deciso di riscrivere l’articolo. Spero di aver fatto cosa gradita.
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola – vol. II Mirandola, trenta secoli di cronaca – G. Morselli Storia delle repubbliche italiane – vol. XIV Storia d’Italia – vol. III Annali d’Italia – vol. XXIII
Nicoletta Vecchi Arbizzi
Complimentissimi. La storia di Mirandola é sempre avvincente. Bravi. Continuate a tenere vivo il ricordo prestigioso del nostro passato. Nicoletta Vecchi Arbizzi
4 Aprile 2019Fabrizio Artioli
Grazie Nicoletta.
4 Aprile 2019