Le figlie dei Pico in trasferta

Le figlie dei Pico in trasferta

20 Ottobre 2018 0

Le figlie dei Pico in trasferta.

I figli “sò piezz e core” e “ogni scarrafone è bello a mamma soja” (spero di aver scritto giusto). Questi vecchi detti napoletani, che appartengono in verità a tutto il mondo, sono sempre stati veri, anche nel medioevo, e si riferiscono a figli sia maschi che femmine. Nel medioevo però i figli maschi hanno sempre avuto la precedenza, specie tra le famiglie nobili, soprattutto per una questione di ereditarietà dei titoli nobiliari. Le femmine, pur amate e trattate con rispetto, erano educate per un unico scopo: convolare a nozze utili e convenienti … per la famiglia, naturalmente. E la casata dei Pico non faceva eccezione.

Le Piche (il cognome delle donne a quei tempi veniva “femminizzato”, passatemi il termine), che dopo aver contratto matrimonio lasciavano la Mirandola per seguire il marito, dimostrarono spesso che il sangue non è acqua e seppero tenere alto il nome dei Pico anche in situazioni difficili: esempio …

LUCREZIA. Nata tra il 1450 ed il 1460 da Gianfrancesco I Pico e Giulia Bojardo. In una corte così ragguardevole e con una madre così colta riceve un’ottima educazione. Nel 1475 sposa Pino degli Ordelaffi, Signore di Forlì. Tipo ambizioso, fece uccidere il fratello Francesco col quale governava la città, poi avvelenò la madre, la prima moglie Barbara e forse anche la seconda Zaffira. Mandò a sposare Lucrezia per procura il suo carissimo amico Aghinolfo dè Guidi … che fece poi avvelenare (un tipo da prendere con le molle questo Pino). Già nel 1480 però Pino lascia questa valle di lacrime e, non avendo avuto figli da Lucrezia, nomina suo erede il figlio naturale Sinibaldo sotto la tutela di Lucrezia, vedova/matrigna. Antonmaria e Francesco degli Ordelaffi, figli legittimi del fratello di Pino, non sono d’accordo e aiutati dallo zio Galeotto dei Manfredi, Signore di Faenza, e protetti da Ferdinando, re di Napoli, muovono guerra ai due che si rifugiano nella fortezza della città aiutati da Antonmaria Pico, fratello di Lucrezia. Il conflitto si allarga a macchia d’olio con l’intervento del papato e del duca di Urbino, quando la morte improvvisa di Sinibaldo semplifica le cose; Lucrezia intraprende subito trattative di pace e cede Forlì al conte Girolamo Riario che è entrato in città alla testa delle truppe pontificie in cambio di una forte somma di denaro. Il conte, nipote del papa, ottiene l’investitura di Forlì senza problemi. Il finale lo racconta così lo storico Lodovico Antonio Muratori negli annali d’Italia; il cronista Girolamo Tiraboschi, invece, afferma che Lucrezia cede la città pretendendo in cambio il tesoro del marito, che pare ammontasse alla ragguardevole cifra di 200.000 ducati d’oro, e al carteggio di famiglia. Riceve inoltre dal papa Sisto IV, a mò di risarcimento, alcuni beni immobili che la vedova si affretta a vendere. Ottenuto tutto ciò Lucrezia torna alla Mirandola portandosi dietro oltre trenta carri di mobilio. Con un simile patrimonio e ancor giovane d’età la vedova è parecchio appetibile e tre anni dopo arriva una proposta di matrimonio da parte del conte Gherardo Felice Appiani d’Aragona, investito dal re di Napoli dei feudi molisani di Montagnano, Casacalenda e Limosano circondati da molta terra; il 25 maggio del 1483 si svolge la cerimonia a Cesena. Non essendoci giunta notizia alcuna, si presume che il matrimonio fili via liscio, almeno fino al 1494, quando Gherardo ha la brillante idea di partecipare alla fallita “congiura dei baroni” contro il suo sovrano. Privato dei titoli nobiliari e dei feudi, muore nel 1502, probabilmente in carcere. Lucrezia, che non ebbe figli neppure dal secondo matrimonio, la ritroviamo invece nel 1501 alla corte delle Segnate nel mantovano, ancora ricchissima. In quegli anni, ormai cinquantenne, pensa di redarre il testamento nel caso che … Lascia tutti i suoi averi al monastero di S. Benedetto destinandone una parte alla ristrutturazione del medesimo che avviene dal 1539 al 1544, dopo la sua morte avvenuta chissà quando. Se Lucrezia dimostra di possedere il senso pratico dei Pico, Eleonora manifesta di averne ereditato determinazione e orgoglio.

ELEONORA. Anche di Eleonora Pico, figlia di Galeotto I Pico e Bianca d’Este, si ignora la data di nascita (a riprova del fatto che all’epoca le femmine non erano considerate un granchè); di certo si sa solo che nel 1500 è già maggiorenne in quanto esiste un documento di un contratto firmato di suo pugno. Convola in prime nozze con un certo conte Pietro Sforza Attendolo, di cui non sappiamo praticamente nulla se non che la rende vedova molto presto. Nel 1507 Eleonora si trova a Ferrara dove il duca Alfonso I d’Este, suo cugino, le concede la cittadinanza. Nel marzo di due anni dopo sposa il marchese di Busseto Galeazzo Pallavicini; lo si potrebbe definire un matrimonio lampo. Galeazzo è un valente condottiero ed ha un carattere forte e di grande autorità, ma anche Eleonora non scherza. La notte di nozze accade un fatto curioso, ma lasciamo la parola al cronista dell’epoca: – Dopo di aver espugnato la dimora dello piacere in tre vigorosi assalti, lo Signor nostro raccogliea le forze in odor d’un quarto sforzo. Ma ecco albeggiar e con esso il sono bronzeo de le campane a chiamar la prece mattutina. Tosto la devotissima nostra madonna Eleonora s’alzò e, indossato che ebbe la vestaglia di broccato, s’apprestò all’inginocchiatoio per pregar li santi tutti e la Madonna. S’alzò adombrato il marchese Galeazzo e la marchesa apostrofò con siffatte parole: “Signora mia che fate? Lasciate il talamo or che lo spadon è tratto?” Ella rispose giungendo le aggraziate mani “Signor mio, è sonato il mattutino, vò a pregar lo Deo mio.” “Madonna Eleonora” urlò Galeazzo col volto paonazzo e con quanto fiato avea in gola ”se il dover coniugale senza indugio non compite, allor la sposa di Cristo voi sarete!” Naturalmente il racconto del cronista è una mia invenzione, ma il fatto accadde realmente. Quando all’alba le campane della chiesa suonano per la preghiera mattutina, la devotissima Eleonora lascia il letto di nozze per andare a pregare. Galeazzo non la prende bene e la rispedisce a Ferrara ingiungendole di non farsi più vedere. Ma non rinfoderò lo spadone; richiamò infatti l’ex amante Bianchina e la tenne con sé. Per quanto al giorno d’oggi possa sembrare strano, i rapporti tra i due coniugi non si guastano completamente. Nel 1514 Galeazzo nomina Eleonora mandataria dei suoi interessi e quando sei anni dopo la rende vedova le lascia un piccolo patrimonio. Nel 1522 Eleonora si ritira a Cannetto, nel mantovano, e qui redige testamento in favore delle monache di s. Guglielmo di Ferrara. Nel 1529 si trasferisce a Cremona dove cessa di vivere in settembre o ottobre dello stesso anno. Camilla invece, sorella di Eleonora, sfodera la grinta dei Pico e dimostra che non solo i maschi sanno farsi valere quando occorre.

CAMILLA. Galeotto I Pico ebbe anche un’altra figlia di nome Camilla, ma le cronache mirandolesi non la ritennero così importante da citarla, nemmeno nella genealogia di casa Pico. Le poche notizie che abbiamo di lei provengono dal Tiraboschi e alcuni scritti storici riguardanti il Frignano e l’appennino modenese. Queste cronache dimostrano come si sbagliarono i cronisti nostrani e come di contro Camilla si dimostrasse degna del nome dei Pico. Camilla andò in sposa al conte Frignano di Montecuccoli, signorotto del Frignano che aveva combattuto per le armi dei Pio e dei Pico. Nel 1510 l’esercito di papa Giulio II occupa Modena, ma i frignanesi si rifiutano di sottomettersi. Iniziano subito varie scaramucce ed in una di queste il conte Frignano viene preso prigioniero e tradotto a Bologna in catene. Camilla pone allora un ritratto del marito di fronte all’immagine di sant’Antonio nella chiesa di s. Lorenzo di Montecuccolo facendo un voto solenne per la sua salvezza. Gli spagnoli, alleati del papa, sapendo della situazione in cui si trova la contessa e credendola una fragile moglie affranta, attaccano il castello di Montecenere dove ella si trova, ma Camilla è una Pico e come tale si comporta. Raccoglie intorno a sé quanti più uomini può ed esortandoli con energiche e vigorose parole li guida personalmente nella difesa portandoli alla vittoria. E come si usa in quei tempi per intimorire gli avversari, fa gettare i prigionieri dalla torre più alta del castello. Più tardi, con l’aiuto del duca di Ferrara e del cardinal d’Este e col pagamento di un riscatto di tremila ducati, ottiene la liberazione del marito che però, con la salute indebolita dalla prigionia, muore di lì a poco e Camilla diviene reggente dei figli Galeotto, Andrea e Federico. Le cose non sono facili e in molti bramano di estromettere i Montecuccoli dal governo di quelle terre, finchè nel 1518 il suo feudo viene affidato ad un commissario ducale. Nel 1521 il papa Leone X riesce dove ha fallito Giulio II, conquistare il Frignano. La sua morte, avvenuta pochi mesi dopo, consente ai frignanesi di liberarsi portando però la regione ad un’anarchia quasi totale. E’ in questa situazione che la famiglia di Camilla perde le sue terre nonostante ella si adoperi instancabilmente con lettere e suppliche ai potenti fino alla sua morte, avvenuta certamente … ma quando e dove non ci è dato sapere. Si aggiunga infine che al famoso condottiero Raimondo Montecuccoli scorreva nelle vene il sangue dei Pico, discendendo egli dalla progenie di Camilla Pico Montecuccoli. Va mo là, ciapa su e porta a cà!

Vanni Chierici

Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola – vol. XVII – Vol. XIX – Notizie storiche del Frignano – Cesare Campori

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