La Torre dell’Orologio
Quella fredda mattina di febbraio Jusfen aveva fatto colazione come al solito con una tazza di latte caldo e pane raffermo.
Aveva poi indossato il tabarro e calcato in testa il cappello di feltro, era sceso con prudenza dalle ripide scale poco illuminate dalla fievole luce che proveniva dal lucernario ed era uscito sulla Strada Bassa (oggi via U.Smerieri), così chiamata perché quando era stato riempito il fossato del castello il lavoro da questo lato non era stato eseguito bene ed il livello della strada era il più basso della città.
Si avviò verso la piazza risalendo la via con l’andatura caracollante che i suoi acciacchi gli consentivano; i 76 anni passati nel clima pieno di umidità della bassa modenese e di duro e faticoso lavoro avevano lasciato il segno. Arrivato sulla piazza svoltò a sinistra e già da un po’ gli arrivava alle orecchie il “toc toc” che i picconi facevano colpendo le vecchie pietre dell’antica torre.
Dopo pochi metri la scena del misfatto gli apparve innanzi in tutta la sua tristezza. Un piccolo capannello di persone, per lo più anziani intabarrati, assisteva all’evento. Due guardie municipali, mandate più per precauzione che per un vero timore di disordini, nella loro divisa blu e protetti dal freddo da una pesante mantellina e con la piccola sciabola al loro fianco, stavano di fronte a quei quattro gatti che, sfidando l’umido e freddo inverno, si ritrovavano muti o mugugnanti testimoni dell’estirpazione della memoria della Mirandola. Alle spalle delle guardie alcuni operai armati di picconi, badili e carriole avevano iniziato la demolizione della Torre dell’Orologio.
Era il lontano 1561 quando Ludovico II Pico, nell’ambito di vari lavori e ristrutturazioni per l’ampliamento delle fortificazioni del castello, aveva fatto costruire, nell’angolo sud-est delle mura interne, una torre a pianta quadrangolare che sarebbe stata conosciuta dai mirandolesi con vari nomi: Torre di Piazza, dell’Orologio o delle Ore. Il lato che si affacciava sulla piazza era stato provvisto di un grande orologio ed all’ultimo piano era stata posta una campana di bronzo il cui suono sarebbe servito negli anni a venire a radunare i mirandolesi nelle occasioni speciali, liete e no.
Circa 150 anni più tardi, nel 1714, sopravvisse al peggiore disastro mai avvenuto nella città, lo scoppio del Torrione del castello causato da un fulmine … uno strano fulmine, pare avesse la forma di un miccia a lenta combustione.
La decadenza della Mirandola, anche architettonica, a seguito dell’annessione del ducato dei Pico a quello di Modena, aveva risparmiato la Torre anche dopo la demolizione delle mura interne del castello e delle sue compagne avvenuta tra il 15 ottobre 1787 ed il 28 febbraio 1790: le torri di s.Lodovico e s.Martino alla sua destra, e la torre della Maddalena alla sua sinistra.
Nel 1837 il primo sfregio; il podestà della Mirandola, il conte Felice Ceccopieri, fece trasferire l’orologio dalla Torre al palazzo comunale. Fu l’inizio della fine. Questa torre solitaria, vestigia di un glorioso passato che sembrava così lontano, venne abbandonata al degrado sia atmosferico che umano.
Si arrivava così al consiglio comunale del febbraio del 1888 presieduto dal sindaco Domenico Pardini che, tra le altre cose, deliberava, con 12 voti a favore e 7 contrari, di abbattere la Torre dell’Orologio.
Le scuse rasentarono il ridicolo: non ha alcun valore artistico, non è più in grado di sostenere la pesante campana che è divenuta un pericolo per i bambini che vi vanno a giocare ed i boari che accompagnano il bestiame al mercato in via del Mercato (oggi via Tabacchi) hanno l’abitudine di usarla per espletare i propri bisogni corporali. Le proteste di pochi cittadini, che avevano già perso la battaglia contro l’abbattimento delle mura, sono inutili; dopo aver rimosso la campana civica (che non so che fine abbia fatto), il 28 febbraio iniziava la demolizione.
jusfen percepì ogni colpo di piccone come un colpo dato al suo cuore e capì di aver sbagliato a venire. Stava per andarsene quando un pezzo di mattone, rotolando sul terreno e passando tra le gambe di una guardia, si fermò ad un passo davanti a lui. jusfen lo osservò per un attimo, poi fece un passo avanti e si chinò a raccoglierlo. Non pensò neppure per un attimo di tenerlo per ricordo; in realtà sapeva già cosa farsene. Girò sui tacchi e con passo insolitamente spedito si diresse verso l’ex Palazzo Ducale ora Municipio. A pochi metri dal porticato si fermò, alzò lo sguardo verso l’edificio e allungato all’indietro il braccio lanciò il mattone verso il balcone dietro cui si trovava la Sala Grande. La delusione fu enorme, il debole braccio del vecchio non ebbe nemmeno la forza di farlo arrivare al porticato. Gli occhi accesi di rabbia si spensero nell’inutilità del gesto. jusfen sospirò e prese la via di casa col capo chino e di nuovo col passo traballante dovuto agli acciacchi del tempo. Lo sforzo fatto per lanciare il mattone gli fece scendere dalla fronte una goccia di sudore che s’incanalò tra l’occhio ed il naso … pareva una lacrima.
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola – Vol. IV –
Mirandola 30 secoli di storia – G. Morselli