La giustizia dei Pico – Parte 2^
La legge va sempre rispettata, comunque, “anch se a ta scapa da ridar!”
Sì, perché ci sono leggi che, per come sono scritte o per l’argomento che trattano, possono sembrare ingenue ed ispirare un sorriso ironico. Molte leggi facenti parte dello Statuto dei Pico agli occhi di oggi paiono quantomeno buffe. Bisogna però ricordarsi che le esigenze di allora erano molto diverse da quelle attuali.
Le leggi in vigore nello stato della Mirandola derivavano dall’antico statuto che governava la corte di Quarantola fin dai tempi in cui il territorio era guidato in comune dalle famiglie dei “figli di Manfredo”, vale a dire dai primi anni del 1100. Lo statuto venne poi riformato nel 1386 passando dal latino al volgare. Lo statuto è composto di sei libri e, tranne il primo che contiene leggi (a quel tempo si chiamavano “grida”) di varia natura, gli altri cinque sono a tema. Lo statuto del Comune della Mirandola e della Corte di Quarantola rimase in vigore fino al 1771, quando divenne esecutivo nei territori estensi il codice di Francesco III duca di Modena. In queste poche righe daremo una sbirciatina ad alcune di quelle che allora erano sentite come necessità inderogabili ed avessero bisogno di essere regolate in modo molto preciso e severo.
Il pollame da cortile oggi viene visto quasi come una curiosità o un esempio da additare per mangiare sano, ma di cui pochi si avvalgono. A quei tempi, se un contadino voleva andare a venderne nei mercati e nelle fiere oltre i confini dello stato mirandolese per arrotondare i propri introiti o comprarne per arricchire il proprio pollaio, doveva passare dall’ufficiale preposto e pagare “ sei danari per ogni paro de caponi, quattro per ogni paro de galline et tre per ogni paro de pullastri”. A pagamento avvenuto l’ufficiale consegnava una ricevuta che doveva essere tenuta sempre a portata di mano per eventuali controlli. E che i furbi stessero attenti perché una ricevuta falsificata significava una multa di “cinque soldi” ed il sequestro del pollame in oggetto.
Un’altra importantissima risorsa delle nostre campagne era il letame, “al siss”. Era l’unico modo conosciuto per concimare la terra e non ce n’era mai abbastanza. Con tono severo la legge che ne vietava l’esportazione diceva: “… alcuno mezzadro o alcuno altro che stara nel Vescovado de Modena non ardisca né presumi per sé o altri condurre alcuno ledame fuori del territorio de la Mirandola et destretto suo …”. La multa per un simile reato era di dieci soldi di Modena per ciascun carro. Per avere più probabilità di fermare il traffico di questo contrabbando, si cedeva metà della multa ad un eventuale delatore. Ovvio che chi fosse dotato di buon fiuto avesse più probabilità di scoprire il crimine. Ma anche una merce così indispensabile diventava sacrificabile, in caso di bisogno, in favore dei contanti: era possibile infatti, anche se non facilmente, ottenere il permesso di esportare letame pagando una tassa di sei soldi per ogni carro.
Il territorio della Mirandola in tempi pacifici poteva dirsi relativamente sicuro, soprattutto perché non era molto vasto e, a parte qualche boschetto, era talmente piatto da non offrire validi nascondigli ai briganti. Di notte però era un’altra cosa e, se il buonsenso non era sufficiente, c’era la legge pronta a proteggerti. Voi certamente state pensando a gendarmi e soldati … non è così. O meglio c’erano anche loro con le ronde notturne ma solo in città! La legge ti proteggeva indirettamente minacciando una delle cose a noi più care: la borsa. La regolamentazione “dell’andare di notte” era molto accurata ma soprattutto severa. La sera sul tardi si poteva uscire di casa se provvisti di un lume e solo fino al rintocco della campana grossa della torre di guardia del castello. Se ti beccavano senza lume durante quel lasso di tempo c’era una multa di dieci soldi di Modena. Se ti attardavi e ti trovavano all’aperto con il lume, tra la campana della sera e quella che segnava il mattino, la multa saliva a 25 soldi, senza luce dovevi pagarne ben 50, una somma notevole a quei tempi. E la possibilità di sfuggire ai controlli erano minime visto che i gendarmi o le guardie che ti sorprendevano in flagranza di reato sarebbero state ricompensate con un terzo dell’ammenda; difficile poterle corrompere … a meno che non fossero parenti, ma molto stretti.
La legge è uguale per tutti, poi arrivi a p. 174 del 6° libro dello statuto e scopri che i Pico sono più uguali degli altri; c’era da aspettarselo. “ … se li figliuoli de li Manfredi fra loro o cum altri fare alcuna donatione, vendicione, pignoracione, permutazione o alcuna altra alienazione … essi figliuoli de li Manfredi niente habbino a pagare.” Questo valeva per qualsiasi operazione per cui si dovessero pagare dazi o tasse. Comprare o vendere case e terreni, edificare o commerciare per sé o a nome di altri, per i Pico comportava l’esenzione quasi automatica dalle tasse e balzelli vari. Eh già, “quasi automatica”; c’era infatti una piccola clausola. I Pico erano tenuti ad avvisare i propri contraenti che loro, per la propria parte, le tasse le dovevano pagare e tassativamente entro il periodo di tempo stabilito dalla legge. Se i “figliuoli de li Manfredi” non si fossero attenuti a tale disposizione, e a causa di ciò la controparte non avesse pagato i dazi, il debito verso lo stato, comprese eventuali multe, sarebbe toccato a loro. A giudicare dalla reputazione di Giovanni Pico, non mi pare che i “figliuoli de li Manfredi” avessero la memoria corta.
Vanni Chierici
Fonte: Memorie storiche della città e del ducato della Mirandola–Tomo VI
La Foto: Palazzo della Ragione – Qui il podestà dello stato della Mirandola legiferava e dispensava la giustizia.