La giustizia dei Pico
La giustizia; ce ne sarebbe da dire su come viene amministrata la giustizia al giorno d’oggi.
Quante correnti di pensiero vi sono a tal riguardo; tante da prendersi almeno una polmonite, o comunque da innescare polemiche a non finire.
Quindi lasciamo perdere l’oggi e curiosiamo nel passato.
Torniamo indietro nel tempo, precisamente nell’anno del Signore 1.590, nella Signoria della famiglia Pico quando a regnare e ad apporre la propria firma in calce alle leggi vi era Galeotto III.
Daremo solo un’occhiata, giusto per avere un’idea di come al tempo venisse dispensata la giustizia, nella fattispecie per quanto riguarda danni arrecati in campo agricolo.
Ma prima una necessaria spiegazione.
In quei tempi le terre erano in massima parte di proprietà del Signore locale, oppure di ricchi proprietari terrieri.
La terra veniva data da lavorare ad un contadino, di norma con una numerosa famiglia, a cui spettava come ricompensa una piccola parte dei raccolti.
Vi era poi la figura del camparo o estimatore che praticamente faceva da tramite tra il contadino ed il proprietario. Le mansioni del camparo erano di vario genere tra cui il controllo dei terreni, una specie di telecamera di sorveglianza ambulante.
Se qualcuno dei lettori volesse saperne di più consiglio la lettura del romanzo storico “L’assedio della Mirandola” di Antonio Saltini, dove la vita di ogni giorno del tempo viene descritta accuratamente.
Ora torniamo al nostro racconto.
Innanzitutto vediamo chi poteva muovere accuse e come presentare la denuncia.
Chiunque ha subito il danno può denunciare sotto giuramento il padrone delle bestie o le persone che hanno arrecato il danno se le ha colte in flagrante, oppure può portare un testimone oculare.
L’accusatore, o il testimone, deve indicare col nome il denunciato o, qualora trattasi di bestiame, deve dire di quali animali si tratta e quanti erano; il luogo esatto con almeno due confini in cui si è avuto il danno, la quantità del danno subito ed il giorno preciso in cui si è avveduto del danno. Infatti, se dopo quattro giorni l’avvenuta scoperta del danno la denuncia non è stata ancora effettuata, essa non ha più ragion d’essere.
In pratica c’era la prescrizione del reato dopo soli quattro giorni, un lasso di tempo che oggi farebbe la gioia di tanti.
E se non si sa chi è il colpevole?
Se chi ha subito il danno non sa chi è il colpevole, entro i canonici quattro giorni può portare la denuncia al “camparo” seguendo le solite procedure.
Questi farà le indagini del caso e porterà dei sospettati davanti al giudice.
Se tra i sospetti non salta fuori il colpevole, se il danno è lieve la pena sarà addebitata ad uno di essi a giudizio del giudice, mentre se il danneggiamento è consistente la pena sarà suddivisa tra tutti gli imputati.
Qui Salomone avrebbe potuto imparare qualcosa.
Naturalmente si pensa anche di dare tempo agli accusati per prepararsi una difesa.
L’accusatore stesso dovrà notificare la denuncia all’accusato facendo di tutto per consegnargliela personalmente ed alla presenza di un testimone di almeno 14 anni d’età, informandolo per filo e per segno dei fatti a lui addebitati e dandogli sei giorni di tempo per scagionarsi. Se è presente il camparo, non sarà necessario alcun testimone.
Però la corruzione doveva essere conosciuta anche allora. Infatti è prevista una pena sia in denaro che in carcerazione, con la perdita del lavoro, se si scopre che il camparo ha accettato “regali” dall’accusato o dall’accusatore.
Ma esiste pure il “perdono”, anche se relativo.
All’accusatore è infatti data facoltà di ritirare la denuncia entro tre giorni dopo la notifica all’accusato, ma ciò non impedirà al proprietario del terreno di procedere comunque col processo per la parte a lui dovuta.
Si racconta che in un caso del genere da parte di un imputato si sia udita
per la prima volta la frase: piutost che gninta …
Difesa ed accusa, a chi credere?
Qui le differenze con oggi sono pressochè inesistenti. Se l’accusato scappa o confessa viene giudicato colpevole e condannato; ma se si presenta al processo negando la propria colpevolezza, allora il giudice deciderà secondo il proprio arbitrio se credere alle testimonianze giurate
dell’accusatore e dell’eventuale testimone. Naturalmente se l’imputato riesce a portare delle prove certe che lo scagionano allora non solo verrà assolto, ma l’accusatore sarà costretto a pagare tutte le spese processuali e un indennizzo. Va mo là.
I danni.
Entro otto giorni dalla notifica all’accusato, chi ha subito il danno deve farlo quantificare dal notaio preposto all’ufficio. Il giudice ne dovrà tenere conto, ma se a suo giudizio tale stima risultasse ingiusta o eccessiva, avrà facoltà di correggerla. Se poi la stima non fosse pronta nei termini di legge allora non vi sarà risarcimento alcuno, nemmeno in caso di condanna.
L’è mei daras na mossa e movras in pressia.
Le pene.
E qui cari miei le pene, che purtroppo non riesco a quantificare, sono certe.
Il documento consultato dice semplicemente che esse dipendono dagli ordini emanati dall’ Ill.mo et Eccell.mo Sig. nostro; vale a dire in questo caso da quanto deciso da Galeotto III. In casi non previsti dal “codice penale” sarà il giudice stesso a decidere la pena basandosi sui casi più simili.
In caso di condanna, l’accusatore avrà diritto ad un terzo del risarcimento.
Il camparo ne avrà diritto solo se è stato lui stesso a scoprire il danno o il colpevole. Il rimanente terzo andrà al proprietario terriero, che spesso era Galeotto III.
E se per un qualche motivo i primi due terzi non erano assegnati, indovina un po’, venivano dati al Signore della Mirandola. Ciapa mo sù.
Meglio allora od oggi? Ai posteri l’ardua sentenza … ma, aspeta n’atim, i
posteri a sem nuatar.
Vanni Chierici
Fonti storiche: Memorie storiche della Mirandola. Vol. X