In fiera a Mirandola nel XIV secolo
Tutti in fiera.
Bella la fiera della Mirandola; i bambini se la godono appieno trovandovi dolci, musica e giostre a volontà e gli adulti possono per qualche ora tornare bambini. Ma come e quando è nata la fiera?
L’origine delle fiere paesane risale al medioevo e tra il XII e XIV secolo trovano il loro massimo sviluppo. Gli scopi di tale istituzione sono molteplici; innanzitutto è una notevole fonte di entrate per il governo locale, poi è un modo per conoscere prodotti di altri luoghi ed infine, ma non ultimo, è un’occasione di divertimento. Alla Mirandola eravamo governati dai Pico, brava gente che voleva tanto bene ai propri sudditi da decidere di organizzare due fiere all’anno, tradizione arrivata fino ai giorni nostri. I due periodi dell’anno scelti furono la festa di S. Giorgio, vale a dire il 23 aprile, ed il giorno di Pentecoste, che a seconda dell’anno cadeva tra il 10 maggio ed il 13 giugno; la prima durava 5 giorni, iniziando due giorni prima della festa e finendo due giorni dopo, la seconda 9 giorni, quattro prima e quattro dopo. In questi giorni di festa era permesso il libero accesso e transito a chiunque, residenti e no, con l’unica eccezione di chi era stato bandito a vita dal feudo per aver commesso efferati delitti o di chi era in attesa, dopo la condanna, di una pena corporale.
Un simile evento, che sarebbe stato frequentato da numerosi commercianti, sia locali che provenienti da altre località con relative merci e mezzi di trasporto e da tutta la popolazione del territorio e dintorni, non poteva certo essere organizzato nella pur ampia piazza della città. Così venne cercato un luogo adatto che fu trovato a sud e fuori dalle mura, esattamente nella zona compresa tra il baluardo del Bonaga (oggi si direbbe all’uscita di via Pico) e, più o meno, dove inizia via del Mazzone. Qui c’era un’ampia spianata che serviva in caso di ostilità ad impedire che il nemico si avvicinasse di nascosto e che avrebbe accolto comodamente anche saltimbanchi, giocolieri, giostre e teatrini itineranti.
Per poter agevolare la presenza di un numero adeguato di commercianti, si pensò di sospendere in tali periodi molte tasse e dazi, ma per non perdere tutti gli introiti si fecero alcune eccezioni. Chi ad esempio avesse acquistato merci e bestiame da trasportare fuori dalle terre dei Pico si sarebbe trovato le solite gabelle. Erano esentasse i beni di consumo immediato tipo la carne macellata, il pane, il vino d’importazione, l’aceto e così via; ma non il vino di produzione locale o i cereali acquistati per l’esportazione. Vi erano anche tasse di genere protezionistico verso alcune merci, per evitare concorrenza con la produzione locale, come panni di lana, di lino o filati in genere e piccolo artigianato in ferro o cuoio.
Con un tale assembramento di varia umanità vi era il concreto pericolo che s’infiltrasse gente malintenzionata come borseggiatori, truffatori e imbroglioni; si doveva inoltre vigilare sulla corretta applicazione delle leggi. Essendo luogo e momento particolari, si pensò bene di affidare il compito della vigilanza ad un reparto della gendarmeria preparato appositamente, oggi lo si definirebbe un “corpo d’elite”. Questo reparto speciale era formato da un capitano coadiuvato da alcuni sottoposti ed aveva il compito di mantenere l’ordine pubblico tenendo d’occhio le persone sospette e tendendo, con indifferenza, l’orecchio verso i capannelli ed i piccoli assembramenti; perché si sa, quando più persone s’incontrano può esservi uno scambio d’idee e possono sfuggire parole e frasi che potrebbero far soffrire l’amato principe.
Da che mondo è mondo, quando si tratta di controlli, vi è un grande dilemma: chi controlla i controllori? Alla Mirandola si cercò di risolvere il problema con un metodo geniale, corrompendo in anticipo. Al capitano ed ai suoi uomini spettava infatti, oltre al normale stipendio di polizia, una specie di “premio di produzione”; tutte le teste del bestiame che veniva macellato o venduto erano destinate a loro ed ogni commerciante che avesse venduto vino al minuto avrebbe dovuto offrirne loro un boccale da un quarto. Saremo ben furbi noi mirandolesi, eh?
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola –
Vol. VI –
Quaderni della bassa modenese – Le fiere della Mirandola nella
Seconda metà del XIV secolo – Carluccio Frison
Giorgio Donatelli
Le feste d’un tempo sono le più belle e le più creative di tutte le altre manifestazioni. Danno un vero senso della vita quotidiana del tempo che fu. Il focolare domestico ed i sani principi del vero stare insieme come l’amicizia e soprattutto l’amore sia per la famiglia che il prossimo!
17 Maggio 2018