Il Principe Guerriero
Già abbiamo visto, nell’articolo “Come scippare un regno”, come Lodovico I tolse la Mirandola al legittimo erede, ora scopriremo quale era la sua vera vocazione, ch’l’è un quel minga difizil da capir. Come costumava nelle famiglie nobili, il secondogenito era avviato alla carriera militare che il nostro principe intraprese con entusiasmo ed alterna fortuna.
La prima notizia di una sua presenza in un combattimento risale al 1494 quando ventiduenne, al comando di 50 lance, cerca invano di difendere il regno di Napoli dalla conquista del re francese Carlo VIII.
L’anno dopo, sempre contro l’esercito francese, è alla guida di una compagnia dell’esercito sforzesco nella battaglia di Fornovo, dove pare si distingua.
A questo punto gli viene affidato un comando più consistente e nel 1496, coadiuvato da Ludovico Pio, alla testa di 110 cavalli leggeri e 300 fanti tedeschi parte da Milano per raggiungere Pisa ed aiutarla nella difesa contro i fiorentini. Passando dalla Garfagnana gli abitanti di Barga cercano di sbarrargli il cammino. Arrivati altri 60 cavalli leggeri di rinforzo Lodovico ordina la carica e si sbarazza facilmente dei contadini. Fa razzia di bestiame che poi rivende a Pisa “arrotondando” lo stipendio annuo, non indifferente, di 6000 ducati.
Torna poi a Milano alla corte di Ludovico Sforza dove svolge funzioni di cameriere personale e partecipa a giostre e tornei. Approfitta della sua posizione per perorare la causa del padre Galeotto che si deve difendere dalle mire del fratello Anton Maria sulla signoria della Mirandola. A causa della riduzione dello stipendio a 1000 scudi annui, con il consenso dello Sforza passa alle dipendenze dei veneziani e riprende a combattere. Si porta in Toscana alla testa di 150 fanti e 150 cavalli leggeri, ma nel luglio del 1498 termina, in malo modo, l’alleanza tra Milano e Venezia e Lodovico torna a combattere per i milanesi. Unitosi a vari altri capitani di ventura partecipa a numerosi scontri difendendo gli alleati fiorentini e riportando piccole vittorie.
Le numerose guerre fra stati italiani dell’epoca si combattevano prevalentemente con piccoli scontri tra esigue forze avversarie, poche centinaia di soldati e nelle battaglie più corpose poche migliaia, ed i numerosi capitani di ventura, che non scordiamolo mai erano mercenari, non di rado cambiavano fronte alla prima occasione. Anche Lodovico ha un abboccamento con i veneziani tramite emissari a Ferrara per un eventuale cambio di fronte, ma evidentemente le offerte non sono all’altezza. Fino a metà del 1499 fa la spola tra Lombardia e Toscana alternando piccoli ma aspri combattimenti, a volte favorevoli e a volte meno, a momenti di relax partecipando a giostre e a manifestazioni ippiche.
La morte del padre Galeotto lo distrae un attimo dai fatti d’arme. Si reca alla corte dell’imperatore Massimiliano d’Austria per cercare di ottenere l’investitura della Mirandola al posto del fratello maggiore Gianfrancesco che ne è il legittimo destinatario, ma tutto ciò che ottiene, per sé ed il fratello minore Federico, è la Concordia. Tornando a Milano compie alcune missioni diplomatiche, quindi affianca Ludovico Sforza in un combattimento nei pressi di Pavia e viene catturato dai francesi. Solo dopo alcuni mesi viene riscattato al prezzo di 2500 ducati grazie all’intervento dello zio Anton Maria.
Nel frattempo il fratello Gianfrancesco si prende anche la Concordia. Lodovico Pico decide a questo punto di combattere una guerra per sé e non per altri. Nel settembre del 1500 va a Ferrara e riesce ad ottenere dagli Estense e dai Gonzaga l’appoggio militare. L’anno dopo sposa Francesca Trivulzio, figlia del generale Gian Giacomo da Trivulzio, ed ottiene altre truppe dal suocero. Nell’estate del 1502, come abbiamo già visto nel precedente articolo, è pronto e cinge d’assedio la Mirandola conquistandola in poco più di un mese scambiandosi di posto con Gianfrancesco, lui ed il fratello minore Federico alla Mirandola e Gianfrancesco alla Concordia. Come sempre quando si entra in una “casa nuova” si fa pulizia. Fa giustiziare i seguaci del Savonarola, cui Gianfracesco aveva concesso asilo, e brucia sul rogo il più importante, Pietro Bernardino. Anche il nobile Cristoforo dei Grisolfi ed altri otto compari pagano con la vita la congiura posta in atto, fallita ovviamente, a favore di un ritorno di Gianfrancesco.
A questo punto una persona normale penserebbe: “Or che lo principe di codesto regno son addivenuto, sullo scranno regale vò a dispensar giustizia e coglier lo frutto dello potere mio.” Ma quando mai i Pico hanno scelto la via più facile? Riprende a combattere “sotto padrone” e a fine anno raggiunge Cesare Borgia a Imola con 40 lance e 90 cavalli leggeri mettendosi al servizio della chiesa. Avuti rinforzi si porta a Rimini con 400 cavalli, poi si dirige a Roma per contrastare gli Orsini e li costringe alla resa nei pressi della città. In agosto, alla morte di papa Alessandro VI, si trasferisce a Roma in compagnia di Alessandro da Trivulzio, suo cognato, per proteggere con gli alleati francesi il conclave. Terminato il compito si sposta nel napoletano, ma qui le cose si mettono male e i francesi vengono sconfitti in più scontri. Cerca un abboccamento con l’ambasciatore veneziano per offrirgli i propri servigi, ma di capitani ne hanno già a sufficienza. Come se non bastasse, durante un trasferimento, nei pressi di Pontecorvo, la sua compagnia viene assalita e svaligiata dalle truppe di Fabrizio Colonna. Decide di lasciare i francesi e tornare al nord. A Ferrara ha inutilmente nuovi incontri coi veneziani ma sono poi i fiorentini ad assumerlo per combattere i pisani. A capo di 400 cavalieri impedisce ad un contingente di truppe provenienti da Napoli di raggiungere Pisa e che si rifugiano nel territorio di Piombino. Si posiziona fra le due città per impedire incursioni dei nemici. Nella primavera del 1506 torna alla Mirandola con l’intenzione di strappare a Gianfrancesco la Concordia, ma Alberto Pio prende le parti del fratello maggiore e ne impedisce l’esecuzione.
L’anno dopo lo vediamo al fianco delle truppe pontificie che combattono i Bentivoglio di Bologna. Al comando diretto del cardinale di Pavia Francesco Alidosi difende strenuamente la città. Nel luglio del 1508 gli viene ordinato d’intercettare a Bondanello, con 60 balestrieri a cavallo e una compagnia di 200 soldati, Mancino da Bologna sospettato di aderire alla causa del partito avverso. Riesce a sorprenderlo in un’osteria e gli intima la resa, ma Mancino oppone una decisa resistenza e viene ucciso. Consegna poi i prigionieri a Francesco Gonzaga che li impicca, tranne uno per cui ha interceduto lo stesso Lodovico Pico. Papa Giulio II lo premia affidandogli 100 uomini d’arme e 200 cavalli leggeri; inoltre gli riconosce uno stipendio annuo di 1500 ducati. Nell’aprile successivo viene nominato governatore delle truppe pontificie. In maggio al comando di 800 fanti, 125 lance e 200 cavalli leggeri pone in atto un agguato all’esercito di Giampaolo Manfrone e lo mette in fuga. Inseguendolo dappresso entra in Brisighella e assedia la rocca che si arrende in seguito, pare, ad un colpo di cannone che centra in pieno la polveriera. Il Manfrone è preso prigioniero e portato alla Mirandola in attesa del riscatto stabilito in 3000 ducati. Unendo le sue forze a quelle di Francesco Maria della Rovere, in tutto 10000 uomini, attacca e conquista anche la cittadina di Russi.
In estate si porta in veneto con 600 lance per dare manforte all’imperatore Massimiliano d’Austria contro i veneziani. Ad agosto si sposta ad Albaredo d’Adige con circa 900 fanti spagnoli, si unisce a Francesco Gonzaga ed insieme puntano su Legnano accampandosi nei pressi di Isola della Scala. Durante la notte i veneziani assaliscono l’accampamento facendo prigioniero Francesco Gonzaga; Lodovico si salva perché le sue tende sono piantate oltre il fiume tartaro. Si vendica dello scacco attaccando e razziando i contadini che avevano aiutato i veneziani. Ne uccide parecchi e si appropria di un ingente bottino. Nuovi ordini lo mandano a rinforzare l’assedio di Padova con 100 lance, 200 fanti e 12 cannoni. A metà settembre una spia lo informa che parecchio bestiame, destinato alle truppe veneziane, è nascosto in una valle a occidente della laguna di Venezia ed è sorvegliato da contadini ed una nave armata. Lascia il campo d’assedio con la sua compagnia e un falconetto, piccolo pezzo d’artiglieria. Giunto sul posto affonda la nave col cannone e fa strage tra i contadini uccidendone 200. Il bottino è notevole e, dopo averne donato una parte agli alleati, fa portare il resto alla Mirandola.
Per un litigio con Teodoro da Trivulzio abbandona il campo e decide di affiancare gli Estensi partecipando alla difesa di Montagnana col cardinale Ippolito d’Este. Quando i veneziani prendono Vicenza, si rifugia nel Polesine con Lodovico e Federico Gonzaga, ma i veneziani li cacciano anche da lì. A metà dicembre, mentre con un drappello di soldati ispeziona il posizionamento di 8 pezzi d’artiglieria estense e cavalca sulle sponde del Po in compagnia del cardinale Ippolito, da una galea veneta parte un colpo di falconetto che lo colpisce in pieno staccandogli di netto la testa. Il corpo rimane ritto in sella fino a quando uno scarto del cavallo lo fa cadere. Viene portato prima a Ferrara poi alla Mirandola e sepolto nella chiesa di S. Francesco.
La sua carriera militare, nonostante alti e bassi, è comunque degna di nota; infatti poeti e cantori gli dedicarono vari sonetti e canzoni.
Per l’episodio di Brighella:
“Auto ha di giesia il confalone / il sir di Carpi gliel dete in mano / che nome à Lodovico qual barone / sì che sto duca franco capitano / rota à l’armata e preso il bastone / e meso in rota il popolo veneziano / e tanto à fato questo sir iocondo / che sempre durerà sua fama al mondo.”
Per le sue gesta al fianco dei francesi nel basso Lazio:
“Vien el conte Lodovico / quel signor mirandolese / quel el ciel ha per amico / in favor del re francese.”
Ma anche il dileggio non manca:
“Quilli de l’armada tose quel penago de mira e tirò e ge dede da mezo la testa in su e portò via tanto quanto la prese de la testa e subito chascò morto da chavallo e lì finite sua vita e lì paghò i botini che l’avia fato in Padoana.”
Bell’epitaffio.
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola – Vol I – II – XIX –
Sito web: Condottieri di ventura –