Il Mastio della Mirandola
“Tonio, andemmia a far al gir dla ronda?”.
“Berto, con l’acqua ch’ ven zò a stem mei al sutt. Chi vot ch’ al vegn a saver se saltemm un gir? A do ori i dorman tutt.”
A far eco alle parole di Tonio ecco un lampo seguito a pochi secondi dal tuono. Il caporale dei gendarmi Bertoldo getta uno sguardo dalla finestra del posto di guardia sito all’angolo tra la Strada Bassa e la Piazza Grande; la pioggia scrosciante batte forte sui tetti e l’acqua scorre come un torrente verso le mura lungo la forte pendenza della strada. La piazza, a tratti illuminata dai lampi, è deserta e allagata dalla pioggia battente. Effettivamente è improbabile che qualcuno possa scoprire se si salta un giro di ronda e la tentazione è forte, ma poi il senso del dovere ha la meglio.
“Dai Tonio, ciapa su al mantell e andemm.” Detto ciò Bertoldo si avvicina all’attaccapanni ed allunga la mano per afferrare il mantello ancora umido dall’ultimo giro, ma improvvisamente si ritrova lungo disteso a terra. Un boato tremendo che sembra annunciare la fine del mondo scuote tutto l’edificio e manda in frantumi i vetri della finestra. Una luce fortissima abbaglia i due gendarmi che rintronati e assordati cercano di rialzarsi.
“Mio dio, cosa succede?” grida Tonio, “Un terremoto!” urla Bertoldo. Il caporale riesce ad alzarsi e lasciando perdere il mantello esce sulla via inzuppandosi immediatamente da capo a piedi. Dopo il primo assordante boato, altri scoppi si susseguono a brevi intervalli. La strada è ricoperta di detriti e schegge di vetro, la gente impaurita e urlante si sta precipitando fuori dalle case. Molti sono in camicia da notte o in mutandoni e quasi tutti a piedi scalzi, qualcuno è riuscito ad accendere una lanterna e con l’aiuto dei lampi illumina la tremenda scena apocalittica che si sta svolgendo alla Mirandola alle due di notte di lunedì 11 giugno 1714. Bertoldo seguito da Tonio si avvia verso il castello da dove provengono urla e scoppi in successione.
Facendosi largo a fatica tra la folla che fugge terrorizzata, i due arrivano di fronte alla torre delle ore e ciò che appare davanti ai loro occhi ha dell’incredibile: il mastio del castello non c’è più, al suo posto una voragine. Le mura del lato sud sono parzialmente crollate andando ad ostruire il fossato che sta straripando aggiungendo acqua alla strada già allagata. Gli edifici del castello nelle immediate adiacenze del mastio sono completamente distrutti e quelli più lontano sono stati colpiti e variamente danneggiati dagli enormi blocchi di muratura lanciati lontano dalla prima esplosione che ha distrutto il mastio. Incendi divampano nell’armeria, nel deposito legnami e nei granai. Altre esplosioni continuano a succedersi lanciando sassi e pietre e mattoni tutt’intorno continuando a compiere l’opera di demolizione. La folla urlante cerca di allontanarsi il più in fretta possibile dalla zona pericolosa, i piedi scalzi si feriscono sui vetri infranti delle finestre, le pietre che volano tutt’intorno sono proiettili minacciosi e fogli di carta e pergamena che fluttuano nel vento del temporale rendono surreale la scena del disastro.
Al mattino la luce del sole rivela la vera portata della tragedia. Non solo il castello è distrutto per almeno due terzi, ma la potente deflagrazione del mastio ha scoperchiato la chiesa di S. Agostino e danneggiato il tetto di S. Francesco e buona parte delle case a sud della cinta muraria del castello sono talmente danneggiate che sarà necessaria la demolizione prima della ricostruzione. Cinque soldati tedeschi di guardia sono morti e una decina di civili sono periti durante la fuga calpestati dalla folla in preda al panico.
Dopo tutte le guerre e gli assedi ed i bombardamenti subiti dalla Mirandola nei suoi quattrocento anni di storia, alla fine è bastato un fulmine nella polveriera del mastio per decretarne il definitivo declino iniziato quattro anni prima con la vendita del ducato agli Estensi.
Giovan Francesco II costruì il mastio in un solo anno, dal 22 settembre 1499 al 20 settembre 1500. Vanto e punto di forza della città-fortezza, intimidiva chiunque si apprestasse all’assedio. Dai suoi 47,6 metri dominava coi due cannoni per lato la campagna intorno ed avvicinarsi era molto pericoloso; lo scoprì papa Giulio II che rischiò una palla di cannone in testa per aver preso alloggio a S. Giustina. Ma non era solo un’arma d’offesa. I 3,80 metri di spessore delle mura lo rendevano quasi invulnerabile alle armi del tempo ed il fatto di avere l’unica porta d’entrata al terzo piano, collegata all’esterno da un ponte levatoio, ed essere circondato da un proprio fossato lo rendevano praticamente inespugnabile. Le sei grandi camere con soffitto a volta che lo componevano era isolabili tra di loro tramite portoni rinforzati da sbarre. La prima camera era per metà sotterranea e conteneva un pozzo e la panetteria; la seconda era un deposito di munizioni ed aveva una finestra con l’inferriata che guardava verso l’entrata del castello ed era difesa da due colubrine; la terza camera era quella con la porta d’accesso ed era chiamata della Ponticella; la quarta conteneva l’archivio della famiglia Pico ed ai quattro angoli vi erano quattro tavolini da lavoro; la quinta era piena di polvere da sparo e munizioni e sui quattro lati c’erano sette aperture per lato da dove sparavano altrettante bombarde. L’ultimo piano era il più alto ed aveva una grande finestra su ogni lato; diviso in senso orizzontale, la parte superiore era protetta da una merlatura e da otto aperture sparavano gli otto cannoni che tanto timore incutevano al nemico.
Dopo l’esplosione del mastio la Mirandola perse molta della sua capacità difensiva ed i successivi assedi lo dimostrarono pienamente.
Vanni Chierici
Fonti: G. Morselli – Mirandola, 30 secoli di cronaca.
Liceo classico G. Pico – classe 2^ B 2006/2007 – La scuola adotta
un monumento, il castello.
Cappi – Mirandola, storia urbanistica di una città.
Cappi – Cartografia storica commentata della Mirandola. Vol. II