Giacinto Paltrinieri
Quanti uomini e donne sono emigrati negli USA in cerca del “sogno Americano”? Eppure anche restando in Italia oggi, come nei tempi passati, possiamo trovare la strada che ci porta al successo. Basta avere tenacia, voglia di fare, applicarsi e saper lasciarsi alle spalle le avversità; se poi si ha anche un dono ben venga. E non occorre nemmeno essere spietati, cinici o spregiudicati, come ci insegna Giacinto Paltrinieri che già abbiamo incontrato nell’articolo “Ancona – Un arte perduta”
Nasce alla Mirandola il 11-5-1779 da Pietro Giovanni, di Tramuschio, e Monica di Francesco Malavasi di s.Possidonio; padrini don Lodovico Tavecchi, rettore del seminario, e la contessa Rosalba del conte Francesco Mantovani. La disgrazia che gli segna la vita accade presto; a dieci anni perde il padre in un incidente sul lavoro e da questo momento la sua educazione risente molto dell’influenza religiosa.
Frequenta con profitto le scuole ginnasiali rette dai Padri Minori Osservanti, ed al termine di queste Frate Giovanni Fermo d’Este da Grumello dei Minori Osservanti nota in lui una certa abilità artistica e decide di accoglierlo nella propria officina dove si occupa di falegnameria ed intaglio. Gli insegna i rudimenti del disegno e dell’arte dell’intagliare, cose a cui il ragazzo è naturalmente portato, ma, pur essendo il frate un ottimo artista, è anche un autodidatta e non ha credenziali sufficienti per dare un’istruzione completa al giovane. Il padrino don Tavecchi, ora Canonico della collegiata, seguendone il percorso artistico decide nel 1795 di mandarlo a Bologna, a proprie spese, perché si perfezioni nella tecnica sia del disegno che dell’intaglio. L’anno dopo purtroppo arriva Napoleone che crea un bel casino e per non fargli correre pericoli lo richiama alla Mirandola.
A questo punto, svanita ogni possibilità d’istruzione scolastica, si rimbocca le maniche ed inizia a studiare autonomamente pur continuando a lavorare ed affinare la propria tecnica manuale col continuo esercizio. Non ci dilungheremo sulla sua attività d’intagliatore che già abbiamo visto nell’articolo citato, basti sapere che, nonostante l’attività del Paltrinieri si diversifichi in molteplici direzioni, non abbandonerà mai la bottega che fu il suo punto di partenza, ma continuerà a seguirla sia come insegnante che come disegnatore.
La sua abilità nel disegno lo porta ad intraprendere la carriera di architetto; ottiene ottimi risultati con la carica di pubblico Maestro del disegno, ottenuta nel breve periodo del regno italico napoleonico, per poi divenire membro della Commissione d’Ornato della Mirandola ed in questo ruolo prestigioso sovrintende come architetto a numerose ed importanti fabbriche (come si chiamavano allora i cantieri). Nel 1811/12 trasferisce, non senza difficoltà, la cappella della B.V. delle Benedizioni dal demolito oratorio di S. Rocco al Duomo, poi su suoi disegni viene migliorata l’architettura della pieve della Fossa e costruito il nuovo altare completamente in marmo.
Nel 1818 si dedica alla costruzione di una nuova cappella alla Madonna di S. Biagio nella chiesa di S. Biagio e poi disegna la canonica del prevosto della Mirandola. Nel 1824 gli vengono affidati i restauri della chiesa di S. Francesco dove tra le altre cose rimette a nuovo la cappella della B. V. di Reggio e disegna ex-novo la cappella di S. Filomena. Nel 1838 viene deciso di ripristinare l’antico convento di S. Lodovico ed il Duca Francesco IV affida al Paltrinieri la restaurazione dei vecchi edifici superstiti e l’edificazione di nuovi.
La vita professionale del Paltrinieri potrebbe sembrare piena e soddisfacente, ma non per lui. Trovandosi ancora con un po’ di tempo libero intraprende l’attività di organizzatore d’eventi e, aiutato dal suo fine gusto artistico, ha immediatamente successo. Il conte Greco lo incarica degli addobbi nella sua casa quando accoglie il ministro della giustizia del Regno d’Italia Giuseppe Luosi che viene a visitare la propria città natale. Il Paltrinieri è ben presto richiestissimo anche in questa attività. A lui vengono affidati incarichi sempre più importanti; l’addobbo del Duomo in occasione dei festeggiamenti per il ritorno di papa Pio VII a Roma prima e per l’ascesa al trono di Modena del duca Francesco IV poi. Ma non solo occasioni liete; nel 1824 s’incarica degli addobbi funebri durante la presentazione in S. Francesco del monumento a Giovanni Pico e nel 1848 per i solenni funerali in ricordo degli italiani morti nelle battaglie di Curtatone e Montanara.
I molteplici incarichi non gl’impediscono di dedicare tempo ed energie a chi ritiene essere meno fortunato di lui. Per lunghi anni è amministratore della Congregazione della Carità, poi protocollista ed archivista. Gli viene pure affidata la carica di Fabbriciere Parrocchiale e si iscrive ad alcune congregazioni diventando Priore della Confraternita del SS. Sacramento e segretario della congregazione detta degli “Uomini”. Tutti questi incarichi lo mettono in condizione d’essere vicino a chi soffre e, pur non potendo definirsi “ricco”, qualunque persona povera o indigente può chiedergli aiuto sapendo che “… quanti a lui ricorrevano, non tornavano mai senza soccorso.”.
Di sé Giacinto Paltrinieri soleva dire con la modestia che lo contraddistingueva d’esser “l’ultimo mirandolese per mezzi e per talenti, ma il primo per l’amor patrio.”. Vivendo in un periodo in cui il vandalismo verso il patrimonio artistico, storico ed architettonico della città fece danni enormi, e le antiche e nobili famiglie e le vecchie comunità religiose andavano scomparendo, nonostante le proprie scarse risorse finanziarie si diede a raccogliere e conservare manoscritti, pergamene, carte varie, medaglie, quadri e ogni cosa riguardasse il passato della Mirandola. In breve riuscì a formare una notevole collezione che viene descritta nel volume “Quadro storico della Mirandola e della Concordia” di Giovanni Veronesi. Purtroppo la collezione alla sua morte venne smembrata: i manoscritti vennero acquistati dai fratelli marchesi Campori che poi li lasciarono in eredità al museo Estense, i quadri vennero comprati dal Comune ed il resto andò disperso. Molto materiale però aveva già preso il volo quando Giacinto lo “prestò” a studiosi e storici come il conte Pompeo Litta, Giuseppe Campi, il dottor Luigi Maini e tanti altri, non vedendoselo mai restituire. Tra questo materiale vi erano anche i disegni da lui effettuati che descrivevano con precisione antichi edifici oggi scomparsi come l’antica fortezza, il palazzo ducale dei Pico, il grande mastio del castello e antiche chiese demolite ed ormai dimenticate dai più.
Corri di qua, corri di là, l’indaffarato Paltrinieri ad un certo punto dovette trovarsi un hobby per scaricare le tensioni accumulate durante le sue molteplici attività, e cosa c’è di meglio della musica per rilassarsi? Così impara i rudimenti della musica da padre Bonaventura da Busseto dei Minori Osservanti e, non potendo lui dedicarsi ad una attività senza ottenerne il meglio, diventa il primo organista prima della Pieve della Fossa e poi del Duomo.
Certo con una vita professionale così piena viene da chiedersi: e la vita privata? Durante le sue corse indaffarate riuscì a trovare il tempo di sposare una certa Anna Morselli, di cui non sappiamo nulla, ma che riuscì a distrarlo il tempo sufficiente per dargli una figlia di nome Beatrice che ereditò dal padre il senso artistico e lo trasferì nel ricamo; suoi, su disegni del padre, sono la tendina ed il conopeo ricamati in oro della B.V. del Rosario in Gesù.
Il 7 novembre del 1857 Giacinto Paltrinieri viene colpito da una pesante colica; ogni cura si rivela inutile ed il mattino presto del 9 ci lascia.
Giacinto Paltrinieri, un buon uomo, un instancabile lavoratore che diede lustro e gloria alla nostra Mirandola … gh’in fuss cmè lù !
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola –
Vol. IV – VIII – XV –
- Calzolari – Il Duomo di Mirandola
- Calzolari – La chiesa e il convento di S.Francesco di Mirandola