Come scippare un regno
Il 5 aprile del 1499 passa a miglior vita Galeotto I Pico, signore della Mirandola.
Prima di andarsene ha ottenuto dall’imperatore Massimiliano, il 28 aprile 1494, il diploma che sancisce l’investitura della signoria al figlio primogenito Gianfrancesco escludendo i due figli minori Ludovico e Federico, che peraltro già tre anni prima vi avevano volontariamente rinunciato. Pensa di aver così evitato le lotte intestine nella famiglia per l’eredità, come era invece accaduto finora alla sua generazione ed alle precedenti, ma non ha fatto i conti con la sete di potere che affligge il genere umano.
Infatti, alla morte del genitore hanno un ripensamento e, spinti dalla madre Bianca Maria d’Este, che li preferisce a quel secchione di Gianfrancesco in quanto uomini d’azione, si riuniscono a consiglio fuori Mirandola per studiare un piano per togliere la signoria al fratello. Buona parte dei sudditi, sia tra il popolino che tra la nobiltà, parteggia per i due fratelli che così non trovano difficoltà a comprare il capitano delle guardie della porta che assicura loro: “An preoccupav, al pont al sarà zò e la porta averta.” Gianfrancesco si dispera:” An poss fidarum ad nissun …” Chiama a sé alcuni gentiluomini fedeli alla sua causa e li implora di porre rimedio alla cosa. Questi si armano e si dirigono alla porta a cavallo fischiettando e facendo gl’indifferenti. Arrivati che sono, sguainano le spade e, sfruttando la sorpresa, conquistano il posto di guardia ed alzano il ponte prima dell’arrivo dei Pico che, visto l’insuccesso del tentativo di golpe, si ritirano in buon ordine alla Concordia covando il desiderio della rivincita. Gianfrancesco, salito a cavallo, festeggia la vittoria pavoneggiandosi nella piazza della città attorniato dai suoi sostenitori che lo festeggiano urlando:” Francesco, Francesco.”
Intanto a Roma, dove vive in esilio da quando Galeotto si era preso la signoria tutta per sè, il fratello conte Anton Maria Pico segue le notizie dalla sua città natale con interesse e decide che è il suo turno. Con la scusa di una visita di cortesia al nipote, chiede udienza e si fa accompagnare da una numerosa scorta armata; le strade d’Italia non sono molto sicure, vi scorazzano briganti e soldati sbandati. Il suo piano è di arrivare alla porta del castello, sorprendere i soldati che ne stanno a guardia, occuparla e autoproclamarsi signore della Mirandola. Ma il capitano delle guardie di turno è un tipo sveglio; sospetta subito di quella scorta insolitamente numerosa e, allertati i propri soldati, intima ad Anton Maria di proseguire da solo se vuole entrare. Il conte fa buon viso a cattivo gioco, procede con la visita e poi se ne torna a Roma scornato; è stata la sua ultima occasione visto che morirà alla fine dell’anno, il 1501.
L’anno dopo, approfittando che Ludovico se ne va per combattere al servizio dell’imperatore, Gianfrancesco s’impadronisce anche della Concordia. Bombarda la cittadina e la sottopone a vari sanguinosi assalti, ma senza risultati decisivi. Dopo parecchi giorni di duri scontri, invia come parlamentare un gentiluomo mirandolese, tal Alessandro Bombasaro amico del comandante della Concordia capitan Casino. Alessandro riesce a convincere il Casino a farlo entrare dalla porta di soccorso, da solo e disarmato. Una volta dentro gli salta addosso e lo cinge con le braccia immobilizzandolo e urla ai suoi soldati di entrare. La Concordia cade nelle mani di Gianfrancesco. I due fratelli minori vanno su tutte le furie e si recano a Ferrara dal duca Ercole I d’Este e a Mantova dal marchese Francesco II Gonzaga per perorare la propria causa e chiedere aiuto. Ascoltando una sola campana, i due non possono che acconsentire ad aiutarli. Il 17 giugno del 1502 artiglieria e soldati partono dal ferrarese e s’incontrano a S. Felice con i cavalleggeri mirandolesi che sostengono Ludovico e Francesco Pico. L’esercito si accampa infine a S. Antonio e a S. Giustina da dove iniziano un cannoneggiamento preciso e devastante.
Dopo cinquanta giorni d’assedio la città è alla fame e le munizioni calano a vista d’occhio. I mirandolesi, in particolar modo chi ha le messi pronte per la mietitura, chiedono a Gianfrancesco di arrendersi o almeno intavolare trattative di pace. Il conte tergiversa, dice e non dice, tenta di rassicurare i propri sudditi. Si reca nel Borgonovo in cerca di vettovaglie, ma uscire dal castello si rivela la sua rovina. I sostenitori dei fratelli gli giocano un brutto scherzo: fanno alzare il ponte levatoio che congiunge Borgonovo al Borgo della Piazza bloccandolo lontano dal castello e si mettono ad urlare: “Pace, pace, Ludovico, Ludovico.” Il conte impaurito si fa calare dalle mura di Borgonovo su di una barca posta nel fossato e si fa portare al ponte della porta di soccorso del castello. Nonostante sia fatto segno a lancio di sassi e pietre, aiutato da soldati fedeli, riesce a rientrare nella rocca, ma ormai è troppo tardi; Ludovico lo ha preceduto e lo aspetta per affrontarlo. La madre Bianca Maria, che si trova nel castello con la moglie di Gianfrancesco, accorre nella piazzetta, si frappone tra i due gruppi e li costringe ad un accordo. Gianfrancesco cede la signoria e in cambio ha salva la vita. Ludovico lo lascia uscire dal castello, ma tiene come ostaggi due figli del fratello fino al 6 agosto, quando Gianfrancesco lascia la Mirandola per andare in esilio a Castelnuovo, proprietà del cugino Leonello Pio. Gli eserciti del Gonzaga e dell’Este se ne tornano a casa propria mentre Ludovico e Federico vengono fatti signori della Mirandola.
Tutt finii? Ma gnanch pr’insunni, du galett in dal pular, a la Mirandla … ma par piaser!
La sera del 7 agosto del 1504 Federico Pico mangia un melone troppo freddo. Forti dolori di stomaco lo attanagliano tutta la notte fino a farlo urlare di dolore. I medici lo vegliano e fanno il possibile, ma tutto è inutile, il giorno dopo Federico muore. Il popolino, pr’an saver lesar e scrivar, mormora: “Veleno …”
Ora Ludovico è il signore della Mirandola, potrebbe vivere tranquillamente di rendita, ma la sua indole lo induce a continuare la sua vita di guerriero. Nel dicembre del 1509 è al servizio di papa Giulio II che sta litigando con i veneziani. Al comando di un reparto di cavalleria, compie una ricognizione armata in località Policella. I veneziani non gradiscono e li prendono a cannonate. Un colpo di colubrina colpisce Ludovico alla testa staccandogliela di netto. Il corpo rimane ritto a cavallo e solo dopo alcuni minuti, a causa di uno scarto del cavallo che lo fa cadere, i soldati si accorgono della sua morte. Il conte Ludovico I Pico viene sepolto nella chiesa di S. Francesco il 17 dicembre. Tre giorni dopo il figlio Galeotto viene riconosciuto signore della Mirandola. E’ morto il re … viva il re!
Vanni Chierici
Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola.
Vol. I – II – III.
Tiraboschi –Notizie biografiche in continuazione della biblioteca
Modonese. Tomo III.
Morselli – Mirandola, trenta secoli di cronaca.