Anno 1386-Le pene nel Ducato della Mirandola e nella Corte di Quarantoli
Gli statuti medievali erano delle serie di regole giuridiche che disciplinavano molteplici aspetti della vita quotidiana, sia nell’ambito pubblico che privato. Erano così regolamentati comportamenti e situazioni, cariche ed istituzioni, nonché previste pene per i trasgressori.
Anche il Ducato della Mirandola aveva il suo statuto denominato “Statuti della terra del Comune della Mirandola e della Corte di Quarantola riformati nel MCCCLXXXVI (1386).
Il Molinari ne “Le memorie storiche della Città e dell’antico Ducato della Mirandola”anno 1888, riassume così le pene comminate a chi infrangeva dette regole giuridiche “statuti”.
Il IV.0 libro tratta dei Malefizi o, come oggi si direbbe, delle cose criminali. Fu già avvertito, che taluna delle rubriche del medesimo libro, nel codice ferrarese si vede collocata nel precedente, che tratta delle cose civili. Ora mi conviene notare, che nel codice stesso mancano le rubriche, che minacciano pene a chi, senza licenza, toglie cose portate alla Mirandola, ed a chi nottetempo va per la Terra senza lume, e che si leggono in questa versione alle pagine 118 e 137.
Dalle disposizioni contenute in questo libro, ben può argomentarsi, che i nostri legislatori, ad esempio dei Romani, commisurando la pena alla gravezza dei diversi delitti, intendessero ad impedirli colla minaccia di fortissime pene, ed a punirli severamente con esse quando fossero stati commessi. E seguendo il modo usato dai longobardi vollero di più, che i crimini medesimi, in molti casi, andassero pure soggetti a grosse multe pecuniarie, collo sborso delle quali i rei si potessero riscattare dalle pene corporali loro inflitte.
Dalla rubrica poi che si legge alla pagina 106 e dalle susseguenti chiaro apparisce, che gravi delitti erano gli insulti a Dio, alla Vergine ed ai Santi, gli insulti e le violenze gravi alle persone, i danni arrecati alle proprietà con guasti, furti, rapine ecc. i delitti contro il buon costume, contro lo Stato ed i Signori della terra. Presso a poco erano classificati come, molti secoli dopo, li classificò il governo della Repubblica Cisalpina; e anche nel codice di Giustiniano già si vedeano notati i delitti più gravi, che doveano sottoporsi ai pubblici giudizi.
La tortura, la quale appresso i Romani, era stata sancita dal divino Augusto come mezzo efficace al “requirendam veritatem”s’ affaccia subito ne’nostri Statuti, e si vede pure introdotta nella legislazione mirandolana all’ effetto suindicato. Il quale crudele e barbaro uso si mantenne dippoì, sì in essi che in altri codici d’Italia, sino al secolo XVIII, in cui le voci del Beccaria e del Verri sì levarono tanto potenti, che persuasero finalmente i legislatori ad abrogarla .
Ne’ nostri Statuti chi avesse bestemmiato il nome di Dio, della Madonna e dei Santi, anticamente, era condannato solo a pena pecuniaria; ma nel 1462 venne sancito, che ai bestemmiatori di Dio e della Madonna, quando non avessero pagata la detta multa, fossero dati due tratti dì corda, ed uno a coloro che i avessero bestemmiato il nome dei Santi. Nel codice Bonacolsìano di Mantova, di già ricordato, agli offensori della Divinità era pure comminata una pena pecuniaria, e, nel caso d’insolvenza, sì chiudevano in un cesto e si gettavano nelle acque del lago. Negli Statuti di Parma del 1347 viene comminata ad essi la multa dì cinquanta dì quelle lire, e quando non l’abbiano sborsata è loro tagliata la lingua. In quelli della città di Concordia nel Friuli. or ora pubblicati dall’egregio Dario Bertolìni, sì prescrive,che la multa pecuniaria vada a prò della luminaria della chiesa e l’ insolvente sia sommerso o posto per tre volte nelle acque del fiume Lemene ; infine, a tacere di molti altri, negli Statuti di Carpi del 1353 è prescritto, che i bestemmiatori debbano pagare cento soldi di bolognini per ogni volta che contravvengono e quando siano impotenti a pagarli, siano legati colle mani alla colonna della casa del Comune ed abbiano a rimanere così ad arbitrio del podestà. Ed oltre questa pena si ordina che siano gettate sul loro capo tre secchie d’ acqua.
Queste strane pene corporali ed altri cotali usi barbarici, sì frequenti nei codici dell’ età di mezzo, si rinvengono ad ogni passo ne’ nostri Statuti. L’omicida viene condannato al taglio della testa ed alla confisca dei beni , e cosi pure gli adulteri, i rei di stupro violento e d’ incesto, e chi attenta alla sicurezza dello Stato. Alla donna che manca sono tosati i cappelli, ed è frustata lunghesso le vie del castello . Se una sposa fugge contro la volontà del marito e del più prossimo parente le sono tagliati il naso e le orecchie, ed è bollata in fronte con un ferro rovente. A chi falsa pubblici istrumenti è tagliata la destra, e chi giura il falso, ovvero fa testimonianza falsa, è condannato a pagare lire cento ; se non le sborsa gli è tagliata la lingua, ed immitriato viene condotto per la Terra. Gli assassini sono condannati alla forca, i ladri alla frustazione,al taglio d’un orecchio, ed è loro cavato un occhio; a colui che ruba anche solo una ciliegia o un grano d’uva portati alla Mirandola è data una strappata di corda sulla pubblica piazza. Altre pene sono comminate a chi fa rumore o mischianza, vale a dire raccogliendosi gente per muover risse o litigi. Non è permesso portar armi e a chi passa le fosse del castello vien tagliato il piede destro. Gli avvelenatori, i lussurienti contro natura, chi fabbrica o falsifica monete, gli incendiari sono bruciati vivi. Chi contrae matrimonio avendo moglie, dopo un anno di prigione, se non ha modo di pagare, è condannato al taglio del naso, ed è bandito perpetuamente dallo stato. Vi sono severe disposizioni sui prigionieri, sulle prigioni e sui loro guardiani, e si prescrivono ai notai deputati ai malefizi il modo e la forma da tenersi, e la mercede che ad essi compete.
Dott.Francesco Molinari
Tratto da “Statuti della Terra del Comune della Mirandola e della Corte di Quarantola – 1888 Tipografia Cagarelli