1602 – Mirandola in lutto
Dopo la dipartita di Fulvia da Correggio, ottobre 1590, il governo dello Stato della Mirandola passò a Galeotto III che due anni dopo, a causa della sua malattia, si ritirò a vita pia lasciando tutto nelle mani del fratello Federico II. Questi portò a termine l’opera iniziata dalla madre e ricondusse la Mirandola sotto l’ala protettrice dell’aquila Imperiale. L’imperatore Rodolfo lo premiò elevandolo al rango di Principe della Mirandola e Marchese di Concordia.
Il governo di Federico fu breve, ma la mancanza di guerre lo rese molto popolare tra i suoi sudditi. L’ultimo anno però fu veramente nefasto. Il 1602 iniziò con una pestilenza che durò fino a marzo mietendo oltre duecento vittime. Il principe, devoto ad un’immagine della Beata Maria Vergine dipinta sul muro di fianco alla porta della città, chiese la grazia divina ed in breve la malattia cessò.
(Nota dell’autore: la maggioranza delle vittime fu in gennaio e già a inizio marzo gli ammalati cominciavano a guarire.)
Per la grazia ricevuta Federico iniziò i lavori di costruzione dell’ Oratorio della Beata Vergine (la Madunina).
Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il 20 aprile si ammala la Principessa Ippolita d’Este, l’amata moglie di Federico, che esala l’ultimo respiro il primo maggio. Il consorte non è l’unico a piangerla; tutta la città, memore delle beneficenze elargite a piene mani ed all’insistenza con cui esortava il Principe a dare udienza ed ascoltare anche i sudditi più poveri ed indigenti, rimase molto colpita da questa dolorosa perdita. Il dolore per Federico fu immenso e certamente fu concausa nella malattia che lo colpì al principio di agosto e lo condusse alla tomba il sette di settembre a soli 36 anni. Il funerale che ne seguì fu a dir poco “regale”. Per tre giorni il corpo, rivestito degli abiti migliori, fu esposto al pubblico, compreso il popolino che non mancò di dare l’ultimo saluto ad uno dei Pico più amati. Nelle chiese di tutto il principato e marchesato si officiavano messe di suffragio e piccole elemosine aiutavano il popolo ad elevare fervide preghiere al cielo.
Il quarto giorno venne posto nella cassa e, caricato su di una carrozza addobbata di nero e tirata da sei cavalli, venne portato nella chiesa di S. Francesco passando per la piazza e davanti al palazzo comunale. Il corteo era preceduto da staffieri con le torce e gentiluomini avvolti in tabarri neri. Dietro al feretro i familiari più stretti e la nobiltà di alto rango; seguivano poi gli ecclesiastici in ordine d’importanza, quindi l’alta borghesia seguita
da una parte del popolino. La maggior parte della plebe però preferiva aspettare il corteo ai lati delle strade per poter meglio vedere l’insieme. In S. Francesco le esequie accompagnate da musiche sepolcrali e tutte le litanie funebri possibili ed infine la sepoltura.
Per 40 giorni in tutto lo Stato vennero bandite le feste pubbliche e private e vietati spettacoli e recite.
In realtà il funerale di Federico II non si scostava di molto dai “normali” cortei funebri di ogni appartenente alla famiglia Pico. Di ben altra natura erano i funerali della povera gente, della plebe; un carretto trainato da un asino ed accompagnato da un prete di campagna. Oggi lo descriveremmo così: Il carretto passava e quell’uomo gridava … CADAVEREEEEEEE ! !!!!!!!!!!
Vanni Chierici
Fonti: Giuseppe Morselli (Mirandola, 30 secoli di cronaca)
Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola. Tomo III.