Fabrizio Silvestri – +Sport come scuola di vita.

Fabrizio Silvestri – +Sport come scuola di vita.

1 Maggio 2019 0

+Sport come scuola di vita

Dall’età di 10 anni, sono legato al mondo dello sport, prima come giocatore e successivamente come dirigente.
Finché il mio fisico ha retto, sono stato uno sportivo praticante, poi, mio malgrado, ho dovuto alzare bandiera bianca e appendere le fatidiche scarpette al chiodo.
Giocando a pallavolo per tanti anni, ho contratto una sorta di debito di riconoscenza verso chi ha dedicato e sacrificato il proprio tempo libero per permettere a me, e a tanti ragazzi come me, di fare sport.
Tra questi volontari, non posso non citarne uno in particolare: Remo Zucchi, senza il quale la pallavolo a Mirandola non esisterebbe o comunque non sarebbe ai livelli attuali. Uno stacanovista della palestra, sempre primo ad arrivare ed ultimo ad uscire. Se tutti gli atleti, allenatori e preparatori atletici, trovano tutto pronto quando arrivano in palestra, questo è merito suo. E questo lo fa tutti i giorni da quarant’anni a questa parte.
Poi voglio soffermarmi un attimo su due presidenti ai quali sono molto legato.
Il primo è il Professore Valeri Romeo, vero e proprio pioniere della pallavolo mirandolese, quando ancora si giocava sui campi in terra battuta. Romagnolo sanguigno e impetuoso, insegnante di applicazioni tecniche alle scuole medie e “colpevole” di avermi iniziato a questo sport. Era un trascinatore, aveva un carisma incredibile. Riusciva a coinvolgere e a trasmettere questa energia, questa passione a tutte le persone vicine. Fu un grande sognatore ma con i piedi ben piantati per terra. Fu infatti capace di realizzare il suo sogno di rendere lo sport fruibile a tutti e non relegato solo ad una “casta” di atleti.
Il secondo è l’altrettanto mitico Ingegnere Libero Anderlini, mio maestro e predecessore in questo ruolo. Da quest’ultimo ho imparato a gestire una società sportiva, a razionalizzare le risorse, a non fare mai il passo più lungo della gamba (nel nostro ambiente è facilissimo che accada, salvo poi vederne le amare conseguenze) e a far quadrare un bilancio.
Tutto questo preambolo per arrivare ad una domanda: “perché si fa il dirigente sportivo?”
Non sono in grado di rispondere a livello generale ma posso invece dire perché io ho scelto di farlo. Orgoglio personale, sete di potere, spirito competitivo, fame di gloria, …? No, tutt’altro.
La mia è stata soprattutto una scelta di cuore. Ho scelto di fare il dirigente per poter permettere a tanti giovani di vivere le esperienze, le emozioni, le trepidazioni che ho vissuto assieme ai miei compagni, praticando questo meraviglioso sport.
Lo sport, qualsiasi sport, ma soprattutto quello dilettantistico, oltre ad aiutare a mantenere un sano stile di vita e a produrre endorfine, rimedio naturale contro lo stress, insegna i principi fondamentali della vita.
Insegna a vivere in gruppo, a lavorare in team, ad accettare la sconfitta, vedendola non come un fallimento, quanto come punto di partenza per migliorare la propria performance. Ci insegna che per vincere, bisogna allenarsi, sudare, sacrificarsi e fare fatica.
Lo sport educa soprattutto al rispetto dell’avversario e mai come in questo periodo, se ne sente la necessità. Senza avversari, non esiste la competizione e quindi non esiste il gioco. L’avversario ha fatto il tuo stesso percorso, gli stessi sacrifici, ha “camminato nelle tue scarpe” (come recita un vecchio proverbio Sioux) e per questo non merita l’umiliazione in caso di sconfitta, o l’odio in caso di vittoria.
E se tutto questo non bastasse, lo sport ha anche una importante funzione sociale di inclusione, integrazione, soprattutto per ragazzi che provengono da ambienti o situazioni difficili, concorrendone al loro recupero.
Per realizzare tutto ciò, c’è bisogno di dirigenti e accompagnatori. Di quelli veri, quelli delle società di paese, quelli che offrono il loro tempo libero in modo completamente gratuito, quelli che sono sempre a fianco dei ragazzi e che sono i primi a consolarli nella sconfitta o a festeggiarli nella vittoria.
Questi dirigenti come gli Zucchi, i Valeri, gli Anderlini, sono un patrimonio dell’umanità, anche se non riconosciuti dall’UNESCO e, prima che possano estinguersi, sarà fondamentale che tutti concorrano a salvaguardarne l’esistenza, per il bene dei nostri figli e per amore verso lo sport (quello vero).
Fabrizio Silvestri
Supporter esterno lista +Mirandola
Lascia un commento

Your email address will not be published.