La Mirandola – Storia urbanistica di una città – Le chiese e i conventi – XVII capitolo
L'estensione e l'area conventi
I°) La Madonnina; 2°) S. Rocco; 3°) S. Francesco; 4°) I Gesuiti; 5°) Le Mendicanti; 6°) Gli Scopetini; 7°) I Cappuccini; 8°) I Serviti; 9°) Duomo, SS. Rosario e SS. Sacramento; 10°) S. Maria Bianca (la parte tratteggiata si riferisce all’area assegnata nel 1784 alle Mendicanti nuove); 11°) Le Monache; 12°) Gli Agostiniani; 13° ) Oratorio Forni.
Il discorso sulle chiese e i conventi meriterebbe una lunga e dettagliata trattazione se si pensa all’importanza che questi istituti avevano avuto nella vita della Città, alle opere d’arte che li abbellivano, al valore architettonico ed ambientale della maggior parte di essi.
Come si vede dal semplice esame di una pianta della Mirandola storica la loro area complessiva (cortili, chiostri, orti, pertinenze varie) era considerevolissima rispetto alla relativamente modesta estensione della Città.
Panorama della Mirandola in pianta ed in alzato come compariva alla fine del XVIII secolo
Pensata su quella del Mortier degli inizi del secolo, la pianta si rivela, nei due ricchi cartigli, una «miniera» di notizie e di dati quasi sempre molto attendibili per la storia e le vicende urbanistiche della Città perché riporta le date di costruzione, soppressione e demolizione di parecchie chiese e di diversi fabbricati.
Meraviglioso e raro il piccolo panorama della Città vista da Settentrione.
La Chiesa e il Convento di S.Caterina dei Cappuccini
Un importante complesso monastico di cui ora non restano tracce e che tuttavia ebbe non poca importanza nella vita e nella storia religiosa e sociale della Mirandola fu quello dei Cappuccini che avevano la loro chiesa e il loro convento nella parte di sud-est della Città (nel terreno compreso adesso tra la via Montanari, via della Mura e il viale di sud-ovest di Circonvallazione) all’estremità di mezzodì della via Larga di Terranova detta allora di S. Michele e in seguito, fino a pochi anni or sono, la via Cappuccina.
La chiesa era dedicata a S. Caterina Vergine e Martire ed era stata costruita insieme al Convento dal 1581 a circa il 1590 per volere della Contessa Fulvia da Correggio vedova di Ludovico II Pico; la facciata, voltata a ponente, era a capanna, con paramento ad intonaco; aveva una sola porta, centrale, sormontata da una grande finestra rettangolare; davanti alla porta pochi gradini in cotto.
Come si vede, l’interno era ad una sola navata con una lunga abside e tre larghe capelle laterali le cui finestre guardavano sul giardino dei frati. Il convento aveva due piccoli cortili e un orto larghissimo.
Sul sacrato che era chiuso dalla parte delle mura da un arco trionfale ad una luce, si elevava una grande Croce di legno.
Come si è detto altrove, la chiesa fu sconsacrata e chiusa nel 1798. Il Convento fu in parte demolito, in parte radicalmente modificato; i dipinti, gli altari andarono alcuni ai Cappuccini di Concordia (1798) e quindi colla soppressione di questi (1805) dispersi o venduti, gli altri furono alienati. La chiesa in seguito fu trasformata in magazzino e col tempo, parzialmente in abitazione; alcuni depositi funebri tra i quali quelli della Contessa Fulvia e del suo figliolo Galeotto III furono diligentemente distrutti.
Le misure principali della chiesa erano le seguenti: larghezza m. 17 (navata 10,60; cappelle m. 6,40); lunghezza 34,95.
Pianta della Chiesa e del Convento di S.Ludovico o Delle Monache
Una descrizione particolareggiata merita il gruppo di edifici rinascimentali che costituivano il Convento di S. Ludovico detto più comunemente le Monache (perché abitato dalle Suore Clarisse), edificato dal 1460 al 1479 quasi di fronte al Sacrato del Duomo sul lato di ponente di Via Grande e che si estendeva fin contro le mura di ponente e di mezzodì del Borgo Novo.
Per le caratteristiche che aveva assunto nel corso del tempo il Convento aveva finito per rappresentare, dopo quello di S. Francesco, il più significativo esempio di architettura claustrale della Mirandola e certamente uno dei più importanti della regione.
La struttura interna, specie per ciò che riguardava i due chiostri (in particolare il più antico che era l’anteriore) che si presentavano con archi a pieno centro sostenuti da colonne in cotto, rifletteva una grande dignità stilistica e una chiarezza concettuale tipiche delle costruzioni dell’epoca.
Anche le superfici esterne specialmente quelle della facciata e della chiesa erano da considerarsi artisticamente valide e si adeguavano all’aspetto delle altre realizzazioni rinascimentali del Borgo (proprio per la contemporaneità e la unità delle progettazioni) coi loro prospetti a faccia a vista, gli ornati e le cornici in cotto, la estrema semplicità volumetrica e del disegno.
La chiesa era orientata da sud a nord e si trovava al centro del convento che divideva in due parti, ognuna col suo chiostro, una rivolta verso la città, l’altra verso le mura. Anche la chiesa era divisa in due parti, una anteriore che serviva per il pubblico, una posteriore (dove era anche il coro) raggiungibile da tutti e due i chiostri e riservata alle Monache (dette anche «le velate»). Contro la parete di divisione erano collocati da una parte e dall’altra due altari al di sopra dei quali una tavola dipinta in tutte e due le facciate poteva ruotare mediante un congegno sia verso la chiesa che verso il coro.
Il Convento era il più vasto della città; purtroppo nulla (se non la fila di case alteratissime del lato di ponente di Via Fanti) ora resta di esso; la facciata principale che per quanto alterata era arrivata in discrete condizioni fino ai nostri giorni fu colpita come si è detto altrove dalla artiglieria nel corso dell’ultima guerra: il chiostro grande o posteriore fu demolito nel 1883-1885 per costruire una villa di stile «palladiano» che ancora si vede, con parco; i resti del primo chiostro che erano stati fortemente modificati nei secoli scorsi furono demoliti negli anni 1950 e seguenti per far posto alla Piazza Ceretti e ai palazzi adiacenti.
La chiesa, edificata nel 1469 (poi alterata in epoca barocca), soppressa nel 1798, riaperta al culto nel 1838 (perché assegnata alle Domenicane), chiusa definitivamente nel 1860 e trasformata in fienile fu demolita nel 1882; il sepolcro delle monache che si trovava nella chiesa posteriore fu ugualmente demolito e parte delle ossa fu buttata, si disse, in una fabbrica di calce che si era costituita nelle vicinanze.
L'Istituto della Gran Madre di Dio
Questi pochi resti dell’Istituto della Gran Madre di Dio dal quale deriverà poi l’Orfanatrofio della Città pur mostrando le tracce della loro struttura architettonica non sono sufficienti a darci l’idea di come si doveva presentare l’edificio in origine.
L’Istituto era aggregato all’Oratorio delle Putte Mendicanti, costruito dal 1619 al 1620, che si trovava all’angolo di sud-est dell’incrocio di Via Montanari con Via Castelfidardo. L’oratorio fu soppresso nel 1784 e sconsacrato nel 1824; di esso a poco a poco per successive alterazione e mutilazioni non rimase più nulla. I locali dell’Istituto già adibiti nel secolo scorso a scuole pubbliche furono praticamente demoliti agli inizi di questo secolo per costruirvi delle abitazioni.
La Chiesa di S.Maria Bianca dell'Ospedale poi delle Mendicanti - Pianta antica e facciata.
Costruita nel 1764 come chiesa nuova dell’Ospedale di S. Maria Bianca, assegnata alle Mendicanti nel 1784, soppressa nel 1823, demolita nel 1930 per far posto all’ala di nord della Caserma Mussolini; negli ultimi tempi adibita a cinematografo.
Emblematica del destino di tanti edifici della città compare la chiesa delle Mendicanti che qui si vede poco prima della demolizione. La figura ci consente fortunatamente di riavere ugualmente l’aspetto dell’edificio.
Tratto da: La Mirandola – Storia urbanistica di una città
Autore: Vilmo Cappi
A cura: Cassa di Risparmio di Mirandola – Seconda Edizione a cura del Circolo “G.Morandi” di Mirandola.
Anno: 2000