La Mirandola – Storia urbanistica di una città – IX Capitolo – La Città banalizzata
La perdita del Castello, la distruzione delle chiese, l’abbandono e l’incuria dei loro conventi e di tanti altri edifici, la demolizione delle mura rappresentarono un disastro incomparabile dal punto di vista urbanistico e storico e insieme ai danni causati, in generale, dalle tre Guerre di Successione valsero a snaturare, come si è detto, in modo definitivo ed irrecuperabile, l’aspetto e il patrimonio edilizio della Mirandola.
La degradazione della Città, accompagnata alla decadenza economica e all’abbandono sociale, toccò il culmine intorno alla metà del secolo scorso. Tuttavia nelle ultime decadi del secolo, proprio per una situazione economica opposta determinata e legata in parte a diversi fattori politici e sociali, la Città cominciò un certo rinnovamento edilizio.
La demolizione delle mura e dei vecchi bastioni (considerata finora solo nei suoi aspetti negativi) portò ad una modificazione radicale della configurazione urbana e propose nuovi problemi e soluzioni urbanistiche. Il fatto caratteristico di questo lungo periodo che arriva fino all’inizio della prima guerra mondiale è che motivi di degradamento estetico ed urbanistico si accompagnarono ad opere di miglioramento del corpo urbano e dei servizi sociali (illuminazione ad acetilene, poi a gas nel 1887, a luce elettrica nel 1898, ecc.) e anche ma più raramente alla costruzione di qualche fabbricato di un certo significato (Casa Magnanini, nel 1883-1885, al posto del secondo chiostro del Convento di S. Ludovico; Scuole Elementari, 1905; Teatro Nuovo, 1905; restauro del Palazzo Civico, 1902, poi 1906, ecc.); alla demolizione del baluardo dei Servi (1883) si contrappose la necessità di far luogo alla strada di accesso alla nuova Stazione Ferroviaria per Modena.
Nel 1895, dopo la demolizione inconsulta della Torre di Piazza, atterrata come si è detto nel 1888 insieme al Baluardo di S. Martino, furono distrutti i resti dell’Arsenale in Castello di cui erano rimaste in piedi tre eleganti arcate rinascimentali sostenute da colonne «in pietra viva» e nella piazza ricavata fu sistemato il primo Mercato Bestiame scoperto; nel 1906 (allo scopo di risanare l’abside del Duomo e il piede del campanile) fu atterrato il voltone di Via Montebello (già detta dell’Albero) che era una delle parti più antiche della città quattrocentesca; nell’anno 1907 si ultimò di ricoprire le fosse di sud-ovest per risanare le adiacenze del nuovo Ospedale di S. Maria Bianca (1905).
All’aprirsi del secolo XX, nonostante le distruzioni e le manomissioni, erano rimasti ancora alcuni pochi edifici antichi, più o meno rispettati, che in un modo o nell’altro ricordavano l’importanza che aveva avuto la Città da un punto di vista architettonico, militare o politico e che le conferivano ancora una qualche bellezza e suggestione. Contro di essi, nel periodo che corre tra le due Guerre Mondiali, si accanirono le disgrazie e le devastazioni. Cosi nel terzo e quarto decennio del secolo si abbattè l’ottocentesco Convento dei Francescani, per la verità disadorno e di scarso rilievo architettonico, per costruire al suo posto un fabbricato «in stile antico»: il Ginnasio Liceo Pico e la Biblioteca Comunale (1928-30, poi 1932-34); quasi nello stesso periodo si demolirono i vecchi palazzi della parte di levante della antica Via Grande insieme ai resti del vecchio Ospedale di S. Maria Bianca e della ex chiesa delle Mendicanti per costruire al loro posto il grande fabbricato in «stile littorio» che fu la «Caserma Mussolini» (1929-30 poi 1931). Quasi nello stesso tempo (1932) si modificò radicalmente il Palazzo del Monte di Pietà risalente al 1595, ricostruito nel 1790, per trasformarlo in un passaggio coperto detto la Galleria. Per colmo di sventura, negli ultimi giorni della Guerra (1945), le cannonate americane distrussero la parte artisticamente migliore di ciò che era rimasto del Convento di S. Ludovico (che i cittadini chiamavano la Salina per esservi da assai lungo tempo il deposito governativo del sale) in Via Grande col contiguo Palazzo dei Conti Boretti (già Scuole Pubbliche) e nella parte settentrionale della Città l’ottocentesco Palazzo della Posta che era stato uno degli alberghi più belli e confortevoli della regione.
Dopo la fine della guerra, anche i fabbricati che erano scampati a questo destino, che per la loro modestia o per qualche motivo avevano potuto sfuggire ad alterazioni di un certo rilievo presero, sotto alla spinta di un momento economico indubbiamente favorevole, a cambiare lentamente ma inesorabilmente il loro volto fino a diventare del tutto irriconoscibili e perfino diversi: case medioevali o caratteristiche o semplicemente vecchie case senza epoca ma con paramento a vista e decorazioni in cotto vennero intonacate e rese insignificanti proprio per la abolizione delle sovrastrutture; le loro logge che guardavano i cortili furono chiuse o anche guastate non perché pericolanti ma per creare vani e modificare l’uso delle abitazioni. Gli orti, i cortili, i giardini, gli spazi non costruiti, perfino i vecchi sagrati furono aggrediti e stipati. Nulla o quasi nulla (almeno per ciò che si riferisce all’aspetto esterno degli edifici) è rimasto della antica Mirandola rinascimentale, della Mirandola barocca o anche solo della vecchia Mirandola anonima ma caratteristica; nulla in pratica è rimasto intatto nel centro storico.
Le falsificazioni (per tutte valga la costruzione «in stile» della parte nuova del Castello: 1930), le contraddizioni (per es. il tentativo di inserire costruzioni a grattacielo cioè fuori scala nello schema precedente), i camuffamenti (specialmente delle facciate, come si è detto), le devastazioni (per es. quella di diversi giardini di Via Fulvia utilizzati come area fabbricabile), le piccole distruzioni senza numero hanno colpito con cattiveria il cuore della Città.
Pur tenendo presente che tutte queste cose non si sarebbero verificate nella loro pienezza se la Città fosse stata rispettata in precedenza e che il discorso per la ricerca delle cause e delle responsabilità deve essere allargato e fatto ritornare indietro nel tempo, resta vero che esse, per quello che è stato il loro peso, hanno contribuito a rendere mediocre, banale e ancora maggiormente priva di interesse la Città Storica, cioè quella parte della Mirandola che, per la razionalità e la qualità della sua configurazione, l’insieme della pianta e del corpo urbano (le mura, il castello colle sue torri, le case in cotto affacciate sulle strade selciate a sassi di fiume, le chiese coi loro campanili, i conventi, ecc.) aveva meritato di essere chiamata, con un gioco di parole caro agli Umanisti «Miranda Mirandula» cioè la Mirandola meravigliosa, la Mirandola degna di ammirazione.
La facciata di mezzodì del Palazzo del Monte
Il disegno riproduce l’aspetto che fu dato all’edificio nell’anno 1790. Qualche anno prima (1784) era stata ristrutturata la parte posteriore del Palazzo Civico demolendo alcune casupole che le si erano andate adossando nel corso del tempo e costruendo al loro posto una nuova facciata con portico e balcone; all’atto della ricostruzione del Monte si ebbe l’accortezza di adeguare lo «stile», cioè l’aspetto dell’edificio a quello della parte nuova del Palazzo in modo da uniformare esteticamente le facciate e di caratterizzare la piazzetta sulla quale esse si affacciavano procurandole così una certa unità ambientale e anche, grazie al nuovo portico del Palazzo Pubblico, un nuovo significato dal punto di vista funzionale.
L'Albergo della Posta - Prospetto principale o di settentrione
La facciata si estendeva lungo la strada di S. Rocco ma il fabbricato faceva angolo e proseguiva sulla piazza del Convento di S. Francesco. Il prospetto di questo lato (che guardava a levante) ripeteva pressapoco, come è naturale, l’aspetto della facciata principale; in esso si apriva il portone delle diligenze che conduceva in un cortile interno, in parte coperto, dal quale si accedeva direttamente alle rimesse, alle camere dei postiglioni, ai servizi e per una porta di «rappresentanza» alle stanze per i viaggiatori e gli ospiti che si trovavano al piano superiore.
Nel secolo scorso l’albergo era arredato con mobili (prevalentemente in legno d’olmo, come costumava e di noce) di artigianato locale; il salone da pranzo si trovava nella parte centrale della costruzione (dove si vede il balcone); era raggiungibile mediante una bella scala ovoidale a chiocciola che aveva la caratteristica di avere gli archi di sostegno ad arco concavo.
Il palazzo detto "La Nuova Italia"
Negli ultimi anni non solo i palazzi ma anche le case comuni che per la modestia economica dei proprietari avevano potuto sfuggire alle inevitabili opere di «riadattamento e restauro» sono state a poco a poco gravemente manomesse tanto da essere ora nella maggioranza dei casi del tutto irriconoscibili.
Ecco appunto un esempio di come si sia potuto nel corso di soli 10 anni (dal 1960 al 1970) deturpare fino all’irrecuperabile, cioè praticamente distruggere, la fisonomia di un interessante fabbricato che coi suoi ornati alle finestre e il bugnato a diamante nella parte inferiore abbelliva notevolmente tutta la strada.
Un tratto di Via Grande
In parecchie case le attività terziarie, gli uffici, i negozi hanno espulso le abitazioni; qui, il fabbricato, sul lato sinistro della strada (via Pico) che una volta era la più bella e la più larga della Città, non ha più porta di ingresso e coloro che vi abitano sono costretti a cercare i loro appartamenti attraverso il cortile, ad «entrare» attraverso il vecchio portone dei carri che si trova addirittura nella strada di fianco.
Nella casa di fronte, una enorme porta-corridoio si apre su una facciata che fino a pochi anni fa era gradevole e proporzionata.
Tratto da: La Mirandola – Storia urbanistica di una città
Autore: Vilmo Cappi
A cura: Cassa di Risparmio di Mirandola – Seconda Edizione a cura del Circolo “G.Morandi” di Mirandola.
Anno: 2000