Fonderia Ghisa – Quando si formava a mano – Capitolo secondo

Fonderia Ghisa – Quando si formava a mano – Capitolo secondo

9 Maggio 2018 0

Quando si formava a mano

L’intera produzione della Focherini, fatta di tante piccole serie, ve­niva interamente realizzata a mano.

Si effettuava una fusione la settimana. Dal lunedi al giovedì, si pre­paravano le staffe pronte a ricevere il getto e contemporaneamen­te veniva rigenerato e riempito dei vari componenti il forno fusorio (cubilotto).

Il venerdì veniva effettuata la colata e tutta la fabbrica era impe­gnata in questa operazione che ultimava e concludeva il ciclo pro­duttivo di una intera settimana.

Manovali, formatori, preparatori della terra, modellisti, colatori, meccanici, per quel giorno abbandonavano le quotidiane mansioni specifiche che svolgevano all’interno dell’azienda per piegarsi ai tempi e alle necessità delle operazioni di colatura.

Il lavoro finiva solamente quando l’ultima goccia di ghisa fusa era stata versata nell’ultima staffa.

Il sabato e spesso anche la domenica vi erano operai impegnati nella umidificazione della terra per la formatura.

La terra doveva essere mantenuta infatti costantemente sotto con­trollo perchè dal suo stato dipendeva la qualità della forma e del prodotto colato.

Si producevano a quel tempo soprattutto ruote per carri agricoli, aratri e pompe per acqua, ma anche tubi per l’irrigazione in lamiera zincata coi relativi bocchettoni in ghisa, una produzione destinata completamente all’agricoltura ed in modo particolare al mercato locale, come vuole la tradizione dell’economia e della struttura ar­tindustriale emiliano-romagnola.

Occorre ricordare che siamo nel 1935, in pieno regime di autarchia. Mussolini con la guerra all’Etiopia procurò all’Italia sanzioni eco­nomiche da parte della Società delle Nazioni, che ebbero l’effetto di ostacolare le esportazioni italiani verso l’estero, di mandare in deficit la bilancia commerciale, e di diminuire la produzione indu­striale nel settore civile.

Il 1935 e il 1936 furono anni disastrosi e difficili per l’economia na­zionali.

”I consumi privati procapite, prezzi 1938, che nei 1929 erano di L. 2.603, nel 1936 erano scesi a L. 2.390”.

Per l’industria italiana erano due gli sbocchi possibili, essendo il mercato internazionale bloccato dalle sanzioni:

1) lavorare per la produzione di armamenti, sia per le necessità del momento che per possibili e probabili (alcuni anni più tardi poi verificatisi) cimenti bellici;

2) rispondere ad una crescente domanda di macchine utensili, fertilizzanti, medicinali, macchine agricole, ecc., determinata dalla necessità di limitare al massimo le importazioni.

Uno degli elementi che a quel tempo, incidevano negativamente sul saldo della bilancia commerciale era l’importazione di derrate alimentari. Se non si voleva fare saltare completamente il già pre­cario equilibrio economico occorreva aumentare la produzione agricola rendendola bastevole alle necessità nazionali.

È evidente, che occorreva a questo punto uno sforzo ingente di avanzamento e sviluppo delle tecniche e dei mezzi, macchine e at­trezzature agricole.

Oltre le considerazioni personali che possono avere indotto Italo Focherini a far sorgere l’azienda e a produrre determinati pezzi, penso valga la pena tener presente anche queste considerazioni di natura generale.

La qualità della produzione e le condizioni di mercato favoriscono negli anni seguenti una crescente domanda che trova una sua cor­rispondenza nell’aumento costante di manodopera.

Già nel 1942 la ditta contava una cinquantina di operai.

La fonderia cominciava ad assumere rilievo nel contesto della eco­nomia mirandolese.

Durante la guerra la fabbrica continuò nella sua attività, in parte producendo il solito materiale per l’agricoltura, in parte diversifi­cando le fusioni verso la produzione di pezzi per carri armati, porta­pacchi per biciclette, ecc..

Occorre ricordare che la produzione industriale alla fine della guer­ra era caduta ai livelli del 1884 per le notevoli distruzioni subite sia nella cantieristica che nell’industria meccanica, automobilistica e siderurgica.

La produzione di ghisa a livello nazionale, rispetto il tonnellaggio prodotto prima dell’inizio della guerra, aveva subito un pauroso ca­lo: dalle 882.296 (1940) tonnellate di ghisa d’altoforno si era passati nel 1945 a 5385 tonnellate; quella di ghisa da forno elettrico da 1.056.551 (1940) a 61.938 nel 1945.

È da ritenere tuttavia che in questi dati non siano incluse le fusioni di decine di piccole realtà produttive, variamente dislocate nel ter­ritorio nazionale e che quindi i dati, pur non di molto modificati, debbono essere aggiornati a queste considerazioni.

Ciò che è importante sottolineare è il ruolo che, come la Focherini, molte minuscole aziende possono aver avuto nel garantire, alla pur ridotta vita economica, il proseguio di una attività industriale che, in quanto legata all’agricoltura, favoriva i seppur minimi livelli di sopravvivenza, di continuità e speranza.

”Nel 1945 i consumi privati… (prezzi 1938) erano attestati sulle 1.401 lire contro le 2.603 di quindici anni prima7

La fabbrica non cessò il lavoro nemmeno nel periodo dei bombar­damenti, quand’era imposto il coprifuoco, e tuttavia non subì, fatta eccezione di alcune macchine sequestrate, particolari danni.

Per meglio mimetizzare la fabbrica al continuo sorvolare dell’avia­zione, le finestre vennero verniciate di blu.

Gli operai, che allora erano impegnati in azienda, sogliono raccon­tare di alcune incursioni aeree fuori bersaglio e per fortuna senza conseguenze.

Pur non avendo avuto un ruolo importante in particolari azioni di di­sturbo contro il nemico, maestranze e direzione nascosero diverse macchine e materiali che potevano servire ai tedeschi e rifugiarono il figlio del direttore, che, militare di leva, si fece disertore.

Diversi operai della F.G.M. mantenevano contatti con le formazioni partigiane e pur non avendo avuto la fabbrica una particolare fun­zione nelle azioni di guerra partigiana della Bassa Modenese, tutta­via la grande unità e solidarietà, e l’antifascismo che esprimeva la classe operaia della Focherini, doveva impensierire qualcuno, se fi­nita la guerra e allontanati i partigiani dai comandi militari e dalle prefetture, si fece scavare, invano, attorno alla fabbrica temendo che gli operai avessero nascosto delle armi.

Fino al 1946-1947, la produzione della fonderia è varia sia per la ti­pologia dei prezzi prodotti che per le dimensioni.

Le fusioni non erano ristrette al solo settore della ghisa, ma si cola­vano anche getti di bronzo, alluminio e altre leghe.

La produzione veniva eseguita tutta a mano. Vi erano dei pezzi di Dimensioni talmente grandi che ci si poteva impiegare anche 5 o 10 ore a formarli.

Pur in un ambiente non certamente sano, anzi sicuramente peggiore di quello in cui si lavora oggi, sono in molti, tra gli operai intervi­stati, a rievocare ”il mestiere” perduto.

I primi approcci con la fumisteria si hanno con la produzione di par­ticolari delle cucine che venivano realizzate a Sorbolo dall’indu­stria La Sovrana, sempre di proprietà del Focherini, e con le griglie e gli sportelli che venivano prodotte per le stufe in mattone della Necchi.

Da lì inizierà il cammino della fabbrica verso una sempre maggiore specializzazione nel settore della fumisteria.

La fonderia in quegli anni era ancora una fabbrica di piccole di­mensioni, artigianale, e la richiesta di una produzione a livelli indu­striale, a fronte di lavorazioni ancora tutte eseguite manualmente, determinò non poche conseguenze sulle condizioni di lavoro inter­ne alla fabbrica.

“Fare 40-50 staffe al giorno della dimensione di un metro e venti per 60/70 cm., il cui peso variava dai 30 ai 60 kg., e a volte superava­no il quintale, era una fatica da condannati all’ergastolo, gente che ha da scontare delle pene morali, che avevano offeso la società. Per quelli andavano bene quei lavori lì! Non il carcere! Erano quei lavori li che andavano bene, io lo dicevo sempre ai miei compagni di lavoro: a fare quei lavori che facevamo noi dovevano venire i la­dri, i truffatori, i politici disonesti! Qui alle staffe dovevano venire”.

La fonderia portò in quegli anni i lavoratori a visitare i sistemi di produzione della Necchi che già lavorava con automatico e questo bastò per far fare un confronto agli operai della F.G.M. tra le loro condizioni di lavoro e quelle degli operai di quella fabbrica.

È sempre Ansaloni a ricordare:

“Nel 1956 ci avete portato alla Necchi? Ci avete fatto vedere i siste­mi di lavorazione? Noi vi diciamo che così non possiamo più anda­re avanti. Occorre che la nostra fatica sia ridotta”.

L’arrivo della nuova produzione, una ripresa industriale generaliz­zata nel paese e particolarmente accentuata nel settore della me­tallurgia fanno si che la fonderia aumentasse la propria capacità produttiva e immettesse un altro cubilotto portando a due le fusio­ni settimanali.

Le richieste dei lavoratori di rendere più umano e sopportabile il la­voro dovevano attendere ancora qualche anno.

Per poter parlare di una riduzione della fatica e di condizioni di la­voro in parte migliorate bisogna aspettare l’installazione del se­miautomatico che avverrà nel 1957-1958.

Comunque un primo salto di qualità a livello tecnico-organizzativo lo si ebbe quando, licenziato nel 1947, il vecchio direttore Remo Ghirri, nel 1948 subentrò il nuovo direttore tecnico Concari che pro­veniva dalle Fonderie Riunite di Modena e che portò con sè una dozzina di formatori specializzati.

Tratto da “IL LAVORO E LA MEMORIA: Fonderia Ghisa Mirandola 1935 – 1982 – A cura di Vittorio Erlindo

L’immagine è gentilmente concessa dal collezionista Roberto Neri

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